Ma il medico decisivo all’alba può diventare irrilevante al tramonto?

Le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale che ha modificato - di poco - la legge 40 sulla procreazione assistita lasciano perplessi: chi le ha formulate dimostra scarsa dimestichezza con i risultati dell’applicazione della legge e conferma la tendenza alla creatività di certa giurisprudenza nostrana. Come già notato da diversi commentatori, proprio il limite massimo dei tre embrioni – abolito dalla recente sentenza – aveva significato stimolazioni ormonali più blande, ed un crollo delle conseguenti complicanze, con buona pace delle accorate preoccupazioni della Consulta riguardo la salute della donna. E per quanto riguarda i parti gemellari, i risultati italiani dicono che la percentuale dei trigemini è in linea o al di sotto della media europea in molti centri di fecondazione assistita, che evidentemente adottano pratiche migliori rispetto ad altri con risultati inaccettabili.

È stata 'inventata' poi la deroga implicita: vietata la crioconservazione degli embrioni con eccezioni dichiarate ma – secondo i giudici – con una deroga a tale divieto, che non è però esplicitata nel testo di legge, ma sarebbe la 'logica conseguenza' delle modifiche introdotte dalla Consulta. Per quale motivo allora non si dovrebbe dedurre anche la deroga a sopprimere gli embrioni, o a utilizzarli per la ricerca, o a donarli ad altre coppie? Sembra che i giudici motivando la sentenza abbiano voluto superare il testo di legge da loro stessi modificato, testo che invece è chiaro: la legge 40 resta interamente valida, nessun embrione in più deve essere creato rispetto a quelli strettamente necessari, ma d’ora in poi questo numero sarà stabilito caso per caso, dal medico. C’è un punto però in cui siamo d’accordo con la Consulta, come ha notato ieri il senatore Quagliariello, ed è che 'la regola di fondo deve essere l’autonomia e la responsabilità del medico' per le sue scelte professionali. Ma allora, cosa ne facciamo di tutte le proteste sulla legge Calabrò sul fine vita? Qualcuno dovrà pur spiegare perché il medico debba avere l’ultima parola per decidere in scienza e coscienza qual è il numero di embrioni 'strettamente necessario' da creare in provetta, e invece dovrebbe attenersi obbligatoriamente alla volontà del paziente per le dichiarazioni anticipate di trattamento: curiosamente, gran parte di chi condivide la sentenza della Consulta, e quindi la centralità del medico nelle decisioni sulla fecondazione in vitro, sostiene invece che questa non sia più valida nel fine vita. D’altra parte è anche evidente che nessun medico accetterebbe che fosse la coppia infertile a decidere il numero di embrioni da creare in laboratorio e trasferire in utero: dare il proprio consenso a cure e terapie non può significare imporre al medico di effettuare trattamenti sanitari inappropriati o addirittura dannosi. Ma questa semplice evidenza non sembra valere sempre. Perché gli stessi che per la procreazione assistita si affidano fiduciosamente al medico – per procedure estremamente invasive – potrebbero farsi improvvisamente diffidenti se si parla del fine vita, e il parere dell’esperto diventa secondario? Un’indicazione può venire ancora dalle motivazioni della Consulta, quando si dice che la tutela dell’embrione si deve bilanciare con quella «delle esigenze di procreazione» (anche questa una novità, mai citata nella legge 40).

Non è la centralità o meno della competenza medica o del progresso scientifico la vera posta in gioco, quanto piuttosto il desiderio che diventa esigenza, e quindi diritto esigibile. Il desiderio di avere un figlio, il desiderio di morire senza sofferenze: cosa c’è di più legittimo? Eppure, l’esperienza insegna che trasformare i desideri in diritti, e richiederli dovuti per legge, non sempre significa riuscire a realizzarli, anzi: a volte, quando non si è tenuto in debito conto la realtà dei fatti e della natura umana, legittime aspirazioni all’uguaglianza e alla giustizia hanno preso forma rovesciandosi nel loro contrario. La storia del secolo scorso dovrebbe farci riflettere.

Assuntina Morresi

da: Avvenire del 10/5/2009