Nei nuovi ospedali spazi d’arte per pregare |
«È sacro il luogo del dolore»: queste parole di Oscar Wilde, dandy fattosi cattolico per onor d’intelligenza, fanno capire già molto di che cosa dovrebbe essere un ospedale, o un luogo di cura. Esistono infatti diritti per così dire «spirituali» della persona che hanno pari dignità di quelli «materiali», come nello specifico l’essere curati. Per chi si trova ricoverato – per chi sta attraversando la prova del dolore corporale e dell’angoscia – è un diritto spirituale, per esempio, l’avere uno spazio accogliente dove poter pregare o raccogliersi. E chi, purtroppo, muore in un letto di corsia ha il diritto di farlo con dignità, senza finire poi «smaltito», nell’attesa delle esequie, in obitori che il più delle volte sono tristi stanzoni se non garages o sottoscala riadattati all’uso.
L’architettura ospedaliera contemporanea soffre, in troppi casi, di asetticità e di trascuratezza, caratteristiche che segnano in modo talora mortificante ambienti i quali dovrebbero, invece, configurare la sacralità – appunto – della nascita, della malattia, della fine, tappe fondamentali dell’umano cammino.
Ripensando insomma all’antico e gentile etimo, c’è da chiedersi quanto sia di norma «ospitale», oggi, un ospedale, soprattutto nelle sue parti dedicate al culto, alla preghiera personale, al silenzio, ma anche al rapporto con la sofferenza e con la morte. Questa domanda se l’è posta – giustamente, e per prima in Italia – la Regione Lombardia, nell’ambito dei suoi doveri istituzionali relativi alla legge nazionale n. 717/1949, che recita: «le Amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo, nonché le Regioni, le Province, i Comuni e tutti gli altri Enti pubblici, che provvedano all’esecuzione di nuove costruzioni di edifici pubblici... devono destinare all’abbellimento di essi mediante opere d’arte una quota non inferiore al 2 per cento della spesa totale». Intuendo la non banalità della questione – l’ospedale è luogo non solo di mera erogazione di prestazioni sanitarie, ma anche di un vissuto, con tutti connessi sentimenti – il Pirellone, con lombardo pragmatismo, ha costituito nel 2007 un gruppo di lavoro presieduto da Maria Antonietta Crippa, docente di Storia dell’architettura al Politecnico di Milano, col compito di curare la progettazione e l’allestimento delle cappelle in tre nuovi erigendi ospedali a Como, Legnano e Vimercate.
Un esperimento pilota che si è subito tradotto in opere innovative e degne di nota per metodo, valori e significato, nonché in una riflessione che è la summa di quelle tre belle esperienze; un documento teorico da poco pubblicato, che può e deve essere di riferimento per chiunque, in Italia, voglia costruire scondo una visione umanistica e autenticamente cristiana.
Scorrendo le Linee-guida per la definizione degli spazi e del corredo di opered’arte nei luoghi di culto, di silenzio, di cordoglio e di esequie dei nuovi ospedali lombardi troviamo infatti spunti importanti, a cominciare dagli «orientamenti generali», ovvero dalla preoccupazione antropologica che ha sostenuto le tre belle imprese: «... Tali luoghi devono risultare capaci di ospitare la persona, ogni persona, inoltre di veicolare significati in modi attenti alla sua condizione di persona malata o segnata dal lutto per la perdita di un persona cara».
Pur attentissima ai valori cattolici, l’esperienza fatta a Como, Legnano e Vimercate risulta tutt’altro che confessionale, bensì correttamente laica e civile, cioè rivolta alla dimensione religiosa, spirituale costitutiva della persona, sia essa agnostica, cristiana, o di altre fedi. Ogni nuovo ospedale è stato quindi programmaticamente corredato di tre spazi ben distinti: una adeguata cappella cattolica; un luogo di silenzio «a disposizione di chiunque senta il bisogno di stare in personale raccoglimento, fermo restando che non si tratta di un luogo di culto»; un luogo di cordoglio «con adiacente luogo di esequie, quest’ultimo arredato in modo da essere facilmente adattabile a riti funebri di ogni confessione religiosa e di ogni legittima ispirazione». Spazi che «per rispetto sia dei defunti che dei dolenti», «devono essere progettati con la dovuta cura non solo tecnica ma anche e in primo luogo architettonica».
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Domenico Montalto da: Avvenire del 6/2/2011 |