Staminali adulte, la ricerca etica che porta risultati

Lo sviluppo della ricerca sulle staminali adulte è una ricerca etica, che ha portato a risultati concreti e incoraggianti in molti campi della medicina e, proprio per questo, è opportuno che non vengano meno gli investimenti in questo settore. Questa la sintesi degli interventi che hanno animato i tre giorni di dibattito della seconda Conferenza internazionale sulle cellule staminali adulte, conclusasi ieri e organizzata in Vaticano dal Pontificio Consiglio della Cultura, dalla Fondazione "Stem for Life" e da "Science, Theology and Ontological Quest". Duplice l’intento perseguito dagli organizzatori: da un lato dimostrare che la Chiesa non avversa la scienza, ma contrasta la scienza non etica; dall’altro replicare con un’efficace divulgazione al silenzio che circonda la ricerca sulle staminali adulte nonostante il Nobel a Shinya Yamanaka. Nel corso della conferenza stampa di presentazione, monsignor Tomasz Trafny, responsabile del dipartimento scientifico del Pontificio Consiglio per la Cultura, ha infatti dichiarato che «la scienza contemporanea sembra sempre più ermetica, impenetrabile per i non iniziati e, come tale, ha bisogno di traduzione, senza la quale a volte diventa difficile, se non impossibile, seguirne gli sviluppi».

Ricco e di altissimo livello il panel dei relatori che si sono susseguiti nelle numerose sessioni di lavoro, caratterizzate da una forte componente specialistica e in cui non sono mancati momenti di confronto su opinioni divergenti. Ma i ricercatori provenienti da tutto il mondo hanno dimostrato come sia possibile investire in una ricerca rispettosa dell’uomo che porta risultati concreti e non illusioni. Esiste infatti una solida esperienza sull’uso terapeutico delle cellule staminali derivate, per esempio, dal sangue dal cordone ombelicale e dalla placenta dopo il parto. La versatilità e i vantaggi biologici unici di queste cellule le rendono una fonte altamente promettente per l’utilizzo medico. Di questo ha parlato Robert J. Hariri, chief executive officer di Celgene Cellular Therapeutics, descrivendo la terapia sperimentale che deriva dalle cellule staminali estratte dalla placenta «con risultati entusiasmanti» in alcune malattie autoimmuni come il morbo di Crohn. Camillo Ricordi, che dirige il Diabetes Research Institute in Florida, ha presentato i risultati raggiunti nella lotta al diabete: «Contro il diabete di tipo 1 e di tipo 2 la promessa terapeutica delle cellule staminali si poggia sulla loro attività antinfiammatoria: l’infusione prima del trapianto d’organo dimezza le terapie anti-rigetto». Non solo, secondo lo scienziato, «essendo cellule adulte, non comportano i rischi di quelle embrionali, ma sono in grado di adattarsi e differenziarsi a seconda della lesione che incontrano, un ictus, un infarto, una ferita».

Lo ha ben documentato il caso presentato da Paolo De Coppi, chirurgo pediatra e primario presso il Great Ormond Street Hospital di Londra, riguardante Ciaran Finn-Lynch, il primo bambino al mondo ad aver ricevuto, attraverso l’uso di cellule staminali autologhe, un trapianto di trachea. A due anni dall’operazione Ciaran, ora tredicenne, respira normalmente e non più bisogno di farmaci anti-rigetto. Ma gli scienziati presenti hanno tenuto alta l’attenzione su un aspetto fondamentale: non creare facili entusiasmi e non promettere cure per ogni malattia. La ricerca è in fase avanzata, i trial si moltiplicano nel mondo, ma non è automatico che attraverso le staminali si possa curare ogni patologia. E non va trascurato l’aspetto etico, come sottolineato nel suo intervento da Antonio Gioacchino Spagnolo, direttore dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica di Roma: «È ora di avviare un percorso impegnativo da parte di tutti: la difesa e la promozione della vita e della persona umana attraverso il confronto attivo tra etica e progresso tecnologico-scientifico. La ricerca sulle cellule staminali è un campo paradigmatico in cui possiamo vedere l’urgenza e la grandezza della sfida che abbiamo davanti».

Emanuela Vinai

da: Avvenire del 15/4/2013