Bimba con due mamme sentenza inventata (Intervista)

Il giorno dopo la sentenza con cui il Tribunale dei minori di Roma ha dato in adozione a una coppia lesbica la figlia naturale di una delle due conviventi, avuta all’estero con l’inseminazione artificiale (illegale in Italia), il mondo politico si è spaccato in due, tra chi pensa che la magistratura abbia di fatto esautorato il Parlamento e ne abbia calpestato la volontà forzando la legge, e chi invece esulta preconizzando ora un «liberi tutti». «Occorre riflettere solo dal punto di vista tecnico, uscendo da ogni lettura ideologica», esordisce allora Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, ovvero dell’organo che ha l’alto compito di decidere proprio sulla legittimità costituzionale delle leggi. E tecnicamente la discussa sentenza regge o vacilla? Si presenta come il classico caso in cui il giudice costruisce una sua soluzione forzando la legge e stravolgendo l’impostazione del legislatore. La lettura tecnica dell’articolo 44 della legge sulle adozioni, al quale la presidente del Tribunale dei Minori di Roma, Melita Cavallo, fa riferimento nella sentenza, non può infatti portare alle conclusioni cui arriva lei. Del resto non è un caso se lei è la prima a interpretare in questo modo la legge, a differenza di tutti gli altri giudici, e se il pubblico ministero era contrario: l’interpretazione che qui si fa della norma è quantomeno ardita, elegantemente costruita, direi anche con arte, ma è pura invenzione, e il legislatore è inerme di fronte all’interprete che vuole forzare le reali intenzioni del Parlamento.

In che cosa consiste allora la forzatura? L’articolo 44 cui la sentenza si aggrappa è quello che disciplina le adozioni nei "casi particolari", ovvero circoscrive nettamente quattro situazioni in cui si concede l’adozione anche se le prerogative necessarie non sussistono. Questo per garantire anche i minori meno fortunati: se il bambino è orfano di madre e di padre (allora può essere adottato da parenti fino al sesto grado o da adulti con cui abbia avuto già un rapporto stabile e duraturo), se è già stato adottato e gli resta un solo genitore (può essere adottato dal coniuge del genitore adottivo), se è orfano di padre e di madre e portatore di handicap, infine – come quarta ipotesi – se vi sia la "constatata impossibilità di affidamento preadottivo", ad esempio se sussiste uno svantaggio sociale per cui, come per l’handicap, è ben difficile che qualcuno chieda di adottare quel bambino. La sentenza di Roma si appella a questo ultimo caso, stravolgendone il significato, perché la bimba in questione non è né orfana né in stato di abbandono, ha già la sua mamma naturale che l’ha partorita, dunque non rientra affatto tra gli svantaggiati gravi che, proprio per questo, possono essere dati in adozione anche se mancano i requisiti. Con quali argomentazioni il giudice romano ha capovolto il testo di legge? Come ha interpretato questo punto?

Con un artificio evidentissimo. Questa "constatata impossibilità di affidamento preadottivo" – prevista da un articolo 44 tutto dedicato agli svantaggiati – deve essere una impossibilità di fatto, legata alla reale condizione del minore, tant’è che il legislatore l’ha inserita tra i casi di abbandono, di morte di madre e padre, di debolezza psicofisica e sociale del minore. Melita Cavallo, invece, la interpreta col fatto che la bambina in questione ha già una mamma, quindi oggettivamente... è impossibile darla in affidamento preadottivo! Ma l’avere già la propria mamma è un impedimento giuridico all’adozione, un divieto. E di un divieto non si può fare un permesso. Qual è lo scenario, ora? Innanzitutto il pubblico ministero può appellarsi e fare ricorso, quindi nulla è ancor detto. Il rischio altrimenti, se passasse questa linea, è che allora tutti i minori, in qualsiasi condizione, potrebbero essere adottati: basterebbe dire che si è "constatata l’impossibilità di affidamento preadottivo", magari proprio perché ha già mamma e papà. Si afferma che lo si fa "per l’interesse del fanciullo", come si è detto nel caso della bambina romana, e tutto diventa lecito. La cosa è grave perché invece la legge pensata dal Parlamento voleva essere restrittiva, circoscriveva il campo, a garanzia dei minori più sfortunati.

La sentenza romana rileva però che la legge così com’è contrasta con alcuni pronunciamenti della Corte europea dei Diritti dell’uomo e con la nostra Costituzione. Può accadere che in una legge si ravvisi un vizio nella legittimità costituzionale. In questo caso un giudice deve rivolgersi alla Corte Costituzionale e sollevare il caso nella sede preposta, non costruirsi nuove soluzioni di sua invenzione. Sempre più spesso oggi succede che si decide di trasgredire le leggi, tanto poi arriverà una "sanatoria"... Nonostante il divieto di fecondazione artificiale eterologa le due donne hanno proceduto andando all’estero, hanno cioè creato una situazione di fatto. Alla quale poi si vorrebbe adeguare il diritto.

Perché tutto questo avviene? Assistiamo progressivamente a un’assoluta privatizzazione di tutti i rapporti di famiglia, all’indebolimento di un interesse pubblico, lo Stato sempre più dice "fate come vi pare", ma così paradossalmente vengono meno le garanzie alle parti più deboli. E poi c’è l’ansia di legiferare da parte di chi è preposto ad altro.

Avvenire

da: Avvenire del 1/9/2014