Fare il prete, un «mestiere» che non finisce mai


I sacerdoti anziani sono sempre più numerosi, sono una riserva di santità, di umanità e di esperienza e sono anche una preziosa risorsa per la nuova evangelizzazione della nostra Italia. Il prete ha, infatti, una longevità sconosciuta ad altre "professioni", è sacerdos in aeternum e anche da anziano, a volte purtroppo non più autosufficiente, può sempre dimostrare con la sua vita, le sue preghiere e parole, i suoi scritti, la grandezza e bellezza della fede e della vocazione sacerdotale. Quando scrivo e parlo del prete, il mio cuore si riempie di gioia e ringrazio sempre il Signore di avermi chiamato. Noi preti – ed esattamente lo stesso vale per le suore – viviamo in una situazione fortunata. Siamo nella posizione migliore per innamorarci di Gesù e per testimoniarlo. Lo scopo della nostra vita è solo questo: conoscere il Signore, pregarlo, amarlo, imitarlo pur nella debolezza della nostra umanità. Siamo liberi dalle preoccupazioni che hanno tutte le altre persone: il nostro futuro, i soldi, la carriera, la vecchiaia... Non abbiamo altre ambizioni e possiamo veramente orientare la nostra vita al Signore Gesù e preparare, anche qui sulla terra, il Regno di Dio.


San Paolo era un innamorato di Gesù: «Non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me. Per me vivere è Cristo» (Filippesi 3, 12); «Quello che per me era un vantaggio, per amore di Cristo l’ho ritenuto una perdita. Considero ogni cosa come un nulla, in confronto alla suprema conoscenza di Cristo Gesù mio Signore, per il quale mi sono privato di tutto e tutto ritengo come spazzatura pur di guadagnare Cristo» ( Filippesi, 3, 8-12). «La carità di Cristo ci spinge» (2 Cor 5, 14); «Chi potrà separarci dalla carità di Cristo?» (Rom 8, 35). Gli esegeti hanno contato nelle lettere di San Paolo 164 volte l’espressione in Christo, cioè la vita in Cristo! Ho seguito Giovanni Paolo II in diversi viaggi missionari. A Puebla in Messico nel 1979 gridava ai preti: «Lasciatevi possedere totalmente da Cristo, siate tutti di Cristo e questo vi renderà anche totalmente disponibili all’uomo. Siate uomini che avete fatto del Vangelo la professione della vostra vita. Il prete deve sempre fare il prete». Questa la nostra affascinante avventura e il modo migliore di prepararci alla vecchiaia.


Quanti sacerdoti anziani ho conosciuto, in Italia e nelle missioni, che hanno testimoniato la gioia del loro sacerdozio... Nel febbraio 1983 ho visitato in Birmania padre Clemente Vismara, che sarà beatificato in Piazza Duomo a Milano domenica 26 giugno. È morto nel 1988 a 91 anni, dopo 65 anni di vita in una regione conosciuta come "il triangolo dell’oppio", ai confini con Cina, Laos e Thailandia, fra contrabbandieri, briganti, guerriglieri, gruppi tribali bellicosi e poverissimi. Padre Vismara viveva con 250 orfani e orfane, aiutato dalle suore di Maria Bambina e aveva 86 anni, il medico più vicino era a 120 chilometri (con quelle strade!). Aveva fondato, partendo da zero, cinque parrocchie e un centinaio di villaggi cattolici. Dai "suoi" cristiani, lui vivente, erano venuti fuori cinque sacerdoti e quattordici suore.


Ero andato per intervistarlo sulle sue avventure e lui mi sorrise: «Ho già scritto tutto più volte. Lascia perdere il mio passato, parliamo del mio futuro». E prese a raccontarmi dei villaggi da visitare, delle conversioni da propiziare, delle scuole e cappelle da costruire. Pensai: questo il prete che anch’io vorrei essere, che non si lascia indurire dalle difficoltà dai pericoli, dalle persecuzioni. Dicevano i confratelli: «È morto a 91 anni, senza mai essere invecchiato». Sacerdote, per sempre.

Piero Gheddo

da: Avvenire del 8/6/2011