IL CASO BERLUSCONI, L’ABISSO DEL NULLA E LA CAREZZA DEL NAZARENO…


A volte per Berlusconi certe esagerate difese dei suoi “tifosi” sono quasi peggio degli attacchi dei nemici. Per non fare nomi, Carlo Rossella ha dichiarato al “Giornale” che la sinistra non può criticare la vita privata del premier perché così fan tutti, anche a sinistra, e non ha trovato di meglio che evocare vari esponenti comunisti e infine addirittura “le vergini offerte in omaggio a Mao Tse-Tung”. Mi pare che citare le perversioni di un regime come quello comunista cinese e del suo sanguinario tiranno, rappresenti una “difesa” del Cavaliere quasi peggiore dei roghi allestiti da Santoro.


Il guaio in Italia è che tutto diventa un referendum prò o contro Berlusconi, qualunque sia il problema di cui si parla. Cosicché restano in scena solo le due fazioni e si perde di vista la realtà. Quello che non si vuole vedere oggi, per esempio, è che tutta la nostra società, tutta la nostra cultura e la mentalità dominante hanno un rapporto compulsivo col sesso e quindi con la realtà. Siamo tutti agitati e tristi, oscillanti tra l’euforia assatanata e la depressione, divoratori congestionati sempre insoddisfatti, frenetici consumatori di cose e di immagini, di televisione e di ideologie, di moralismi farisaici e di “occasioni” che ci facciano sentire vivi, di eccitanti (mentali o chimici), di successo, di soldi, smaniosi di “apparire” per accorgerci di esistere (sia i ragazzini di Maria de Filippi che le star della tv con il loro Ego arroventato).


Più proclamano che esiste solo “l’io e le sue voglie” e che ogni desiderio deve diventare diritto garantito per legge, più siamo terrorizzati dall’invecchiamento, dalla malattia e dalla prospettiva della morte. Morte che non è un evento del futuro, ma che sconti vivendo, ogni giorno, nella decadenza del tuo corpo e nella fragilità della tua psiche: nella tragicità della condizione umana. Non c’è destra e sinistra qui. L’anima di tutti s’impiglia in questa solitudine e in questi rovi della foresta oscura. Così siamo tutti moralisti immorali. I giudizi sugli altri sono farisaici, ipocriti perché così fan tutti, ma le giustificazioni del tipo “così fan tutti” sono maleodoranti e malvestite. Eludono il problema. E’ comodo essere corrivi. Della condizione umana non sappiamo più parlare. Della nostra condizioni di moderni.


E’ stato detto in questa tempesta: “come una persona che non sta bene”. Nessuno di noi sta bene. Pochissimi stanno bene con se stessi e sono pieni di pace e di gioia. Sono persone speciali di cui i mass media in genere non si occupano.


Ma fra questi pochi ci sono anche personaggi conosciuti: padri e maestri così sono stati per esempio, per la nostra generazione, don Luigi Giussani, Karol Wojtyla (come pure Joseph Ratzinger) o un monaco come don Divo Barsotti. Ho fra le mani un libro su di lui, “Sull’orlo di un duplice abisso”. Leggo questo suo pensiero che spiega perché ci aggrappiamo furiosamente alle cose, perché ci avventiamo disperatamente sulla carne del mondo: “Nel buddismo l’uomo che si appoggia alle cose è paragonato a un uomo che precipita giù per un precipizio che sprofonda nel mare, trova un ciuffo d’erba e ci si attacca: sotto c’è l’abisso, sopra non può più salire. Ma attaccato a questo ciuffo d’erba c’è un topo che rosicchia le radici dell’erba: vi immaginate il terrore dell’uomo che sta per precipitare giù in questo abisso? Ecco” proseguiva don Barsotti “l’uomo vive questo. Noi cerchiamo di dimenticarlo ma viviamo questo, perché c’è la morte e, nella morte, questo abisso che è come il nulla. Invece, ecco Dio: Lui ti porta sulle sue ali. C’è l’abisso – sì, anche quando c’è Dio c’è l’abisso – ma tu sei portato sulle ali dell’aquila… Ecco la vita dell’anima: si vola sopra gli abissi e si va verso Dio, come l’aquila va verso il sole”.


Tutta la nostra vita (a cominciare dai nostri peccati) grida questo desiderio del Sole, questo bisogno di significato che ci sottragga all’abisso del nulla. Siamo mendicanti del senso dell’esistenza e dell’amore, cioè abbiamo una sete inestinguibile di Dio. Oggi sui media dilaga un freudismo da quattro soldi secondo cui Dio sarebbe una sublimazione del sesso. Ma l’evidenza della realtà dice esattamente l’opposto. Il sesso, il potere e il possesso: sono loro i surrogati a cui chiediamo di farci dimenticare la morte e tutti i suoi preavvisi, come l’invecchiamento. E’ l’ossessione del sesso e del possesso che ci serve a esorcizzare il nostro limite, la nostra paura, la nostra incertezza di esistere, il nostro inappagato desiderio di essere amati, voluti, la nostra sete di felicità. Cioè la nostra fame di Dio.


La prova è che quei surrogati non ci bastano mai. Anzi, siamo sempre più scontenti e agitati. Il vero desiderio che ci abita, fin dentro a tutte le nostre fibre, l’unico bisogno assoluto che abbiamo e che è inestirpabile e inestinguibile è Dio, perché noi siamo fatti per l’infinito, per una felicità senza limiti e tutto ci lascia insoddisfatti. Diceva sant’Agostino, che era stato un gran peccatore carnale: “O Signore, ci hai creai per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”.


Ma figuratevi se i giornali si accorgono di questa attesa del cuore umano e di padri che ci aiutano a capirla, come don Barsotti. “Tutto cospira a tacere di noi” (Rilke). I divi delle vanità mediatiche sono gli Enzo Bianchi, non coloro che insegnano a gustare, nel silenzio delle colline sopra Firenze, l’abisso sulle ali di Dio e che ti fanno incontrare la carezza del Nazareno.


Eppure è di questa che abbiamo bisogno, tutti. Ecco, auguro a tutti noi, a Berlusconi e alla sua signora Veronica, a me e a te, amico che leggi, a Santoro e a Rossella, soprattutto a ogni essere umano che fatica nella solitudine delle nostre città, ai miei figli e a tutti i ragazzi e le ragazze (belle e meno belle), questa grande fortuna, la più grande che può capitare nella vita: sperimentare la carezza del Nazareno. Che abbia ancora pietà di noi. Che faccia riposare i nostri cuori smarriti al calore, alla bontà del suo sguardo.


“Egli” dice la grande poesia del salmo “ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge./ Ti coprirà con le sue penne/ sotto le sue ali troverai rifugio./ La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza;/ non temerai i terrori della notte/ né la freccia che vola di giorno,/ la peste che vaga nelle tenebre,/ lo sterminio che devasta a mezzogiorno./…Egli darà ordine ai suoi angeli/ di custodirti in tutti i tuoi passi./ Sulle loro mani ti porteranno/ perché non inciampi nella pietra il tuo piede./ Camminerai su aspidi e vipere,/ schiaccerai leoni e draghi”.

Antonio Socci

da: Libero del 9/5/2009