Perché alla matematica sfugge il divino


Questa intervista ad Antonio Ambrosetti apre un ciclo di colloqui dedicato ai rapporti tra la matematica (e i matematici) e la fede, che sfatano la fallace equazione che identifica scienze esatte con ateismo.


«Sulla parete del mio studio campeggia il Crocifisso. La giornalista, che è di fronte a me, lo osserva. Poi, meravigliata, mi fa: "Professore, è credente?". "Sì", rispondo io, con naturalezza. E lei: "Ma come fa uno scienziato - anzi un matematico - a credere in Dio?". E sottolinea la parola "matematico", scandendo le sillabe. L’equazione razionalità-mancanza di fede è un luogo comune che oggi va molto di moda, e mi irrita. Perché è del tutto errata. Lo prova il gran numero di illustri pensatori, del passato e di oggi - in prima fila i matematici - la cui fede è nota a tutti. Negli ultimi anni in televisione è stato dato troppo spazio a personaggi come Odifreddi che hanno portato avanti la tesi dell’incompatibiltà tra fede e scienza con argomentazioni logico-filosofiche che, comunque, hanno poco a che fare con la matematica». Il professor Antonio Ambrosetti, per lunghi anni ordinario di Analisi matematica alla Normale di Pisa e ora alla Scuola internazionale superiore di Studi avanzati (Sissa) di Trieste, ha avuto due maestri sia nella scienza che nella fede: Giovanni Prodi, eminente matematico «e anche grande uomo», ed Ennio De Giorgi, uno dei massimi matematici del secolo scorso, entrambi animati da un profondo senso religioso.


Professore, c’è chi si propone addirittura di dimostrare matematicamente che Dio non esiste. «Un’impresa del genere è tempo perso. Cito un libro che mi ha colpito: Irreligion, di John Allen Paulos, alla cui versione in italiano, per fare sensazione, è stato dato il titolo La prova matematica dell’inesistenza di Dio. Ma nel libro non c’è nessuna dimostrazione matematica. Nessuno dei geni della matematica, dai Greci fino a oggi, ha potuto dimostrare matematicamente l’inesistenza (o l’esistenza) di Dio. Nemmeno una scienza precisa come la matematica può dare una risposta al quesito cruciale che ha tormentato gli uomini di ogni tempo. Ho appena finito di scrivere un breve saggio dal titolo Matematica e Dio in cui mostro, tra l’altro, come sia un inutile tentativo quello di usare la matematica per dimostrare che Dio esiste o no».


Oggi si è diffusa nell’immaginario collettivo l’idea che i matematici siano in qualche modo onnipotenti…

«Niente di più falso. Ognuno di loro, anche il più grande intelletto, aveva dei limiti imposti, se non altro, dalle limitate conoscenze scientifiche dell’epoca. Per esempio, il famoso teorema di Fermat, enunciato agli inizi del Seicento, è stato dimostrato solo pochi anni fa, e via dicendo. Anche in matematica ha luogo uno sviluppo graduale delle conoscenze che porta la ricerca a fare passi avanti. Ma c’è sempre qualche risultato che ci sfugge e che verrà dimostrato probabilmente nel futuro».


Ma che cosa vuol dire "dimostrazione matematica"?

«In matematica si dimostrano teoremi, e per far questo occorre, innanzi tutto, fissare dei postulati. Poi bisogna fare delle ipotesi, e infine si cerca di dimostrare la tesi. Ecco un esempio conosciuto: il Teorema di Pitagora. I postulati sono quelli della geometria euclidea; l’ipotesi è che il triangolo sia rettangolo, la tesi è che la somma dei quadrati costruiti sui cateti equivale al quadrato costruito sull’ipotenusa. Ma il teorema può non valere, se sostituiamo gli assiomi della geometria euclidea con altri postulati o se ci riferiamo a un triangolo che non sia rettangolo. Ora, quando si parla dell’esistenza di Dio, quali ipotesi si possono fare? E quali sono i postulati? Tutto è inevitabilmente vago e aleatorio. Stesso discorso, se voglio addirittura provare l’inesistenza di Dio. Si aggiunga che una proposizione può benissimo essere vera, anche se, dati i nostri limiti, non siamo in grado di dimostrarla compiutamente. Lungi dal fornirci certezze, un teorema di matematica non può svelare il mistero di Dio, che sovrasta le nostre capacità. Del resto, si sa che bisogna stare attenti quando si cerca di applicare i risultati matematici alle varie situazioni concrete».


La matematica non è un abito pret-à-porter.

«I teoremi sono spesso dei risultati teorici. Anche quando vengono usati per problemi di fisica o nelle applicazioni, vanno tenuti nei loro limiti e non estrapolati per adoperarli in situazioni che ci fanno comodo. C’è un famoso teorema di Poincaré in cui, in parole povere, si dimostra che un pneumatico bucato si rigonfia da solo dopo un tempo sufficientemente lungo. Ma chi è quel ciclista che si ferma ad aspettare questo evento straordinario? Potrebbe dover attendere secoli. Non parliamo poi di ragionamenti di tipo probabilistico che spesso si fanno quando si discute sull’esistenza di Dio»


Sono i più azzardati.

«Prendiamo la Legge dei grandi numeri, o di Bernoulli, di cui chi gioca alla roulette ha sentito parlare. In base a questa legge, dopo un numero "sufficientemente grande" di lanci, ci sono ottime speranze di vincere. Ma quanti lanci bisogna fare (aumentando sempre la puntata)? Mille, un milione o più ancora? Potrebbe non bastare una vita intera. L’incertezza è ancora maggiore, se pretendiamo di usare la matematica per discutere su Dio. D’altra parte, se per assurdo fosse possibile dimostrare matematicamente che Dio esiste o no, dovremmo essere tutti credenti o tutti atei, con buona pace della nostra libertà. Invece Dio la rispetta, permettendoci persino di rifiutarlo. Ma chi Lo cerca con la mente e soprattutto col cuore, ne sente la presenza e pregusta la visione di Dio quando i tempi saranno maturi».


La matematica non può dimostrare nulla sul mistero di Dio. Ma può sostenere la fede?

«La matematica mi fa intuire la presenza di Dio. Parliamo dell’infinito, l’argomento risale a Pascal. In matematica, ogni numero reale è superato da "+infinito". In questo io scorgo Dio, che è sempre al di sopra di noi. Dio che conosce tutti i teoremi ma non ce li svela, aspettando che noi lentamente progrediamo nella ricerca. Dio non vuole dei robot, ma degli uomini che con umiltà, coscienti dei propri limiti, vanno avanti e Lo cercano sapendo che non potranno mai capirne completamente il mistero. Alla fine, solo la nostra coscienza può dire sì a Dio, con scelte fatte liberamente con la mente e soprattutto con il cuore. Diceva Ennio De Giorgi: "All’inizio e alla fine, abbiamo il mistero. La matematica ci avvicina al mistero, ma nel mistero non riesce a penetrare"».

Luigi Dell'Aglio

da: Avvenire del 11/12/2008