NOVE ARGOMENTI GIURIDICI PER DIRE NO ALL’EUTANASIA


Il commento del professor Palmaro, docente di Filosofia del Diritto.


La proposta di legge per la legalizzazione dell’eutanasia, presentata dalla formazione radical-socialista “Rosa nel Pugno”, e la proiezione di un filmato in un liceo di Torino sulla “dolce morte” attuata in una clinica svizzera, hanno riacceso il dibattito sulle pratiche del cosiddetto “suicidio assistito”.

Dato l’interesse per il tema, ZENIT ha voluto ascoltare il parere del professor Mario Palmaro, docente di Filosofia del Diritto all’Università Europea di Roma, il quale ha presentato le ragioni per cui l’eutanasia non deve essere legalizzata da uno Stato laico.

“Lasciando da parte gli argomenti che sono legati alle convinzioni religiose o all’insegnamento di una Chiesa – ha esordito il professor Palmaro –; argomenti tutt’altro che disprezzabili, ma che potrebbero essere ritenuti insignificanti in un’ottica laica e secolarizzata. Parliamo invece dei motivi che sono validi da un punto di vista giuridico”.


“Il primo e più importante motivo è quello alla vita che è un diritto indisponibile, anzi il più importante fra tutti i diritti indisponibili – ha sottolineato –. Ciò significa che non solo non si può decidere della vita di un altro uomo innocente, ma che nemmeno è lecito disporre arbitrariamente della propria”.

“Perfino il suicidio rappresenta giuridicamente parlando un atto illecito, anche se ovviamente non è punito dal codice penale – ha affermato – . E’ però sanzionata l’istigazione al suicidio, con cui il legislatore rivela il suo sfavore per chi si toglie la vita”.

“Anche la libertà appartiene a questa categoria di diritti specialissimi: se una persona volesse liberamente diventare schiava di un’altra, l’eventuale contratto fra le parti sarebbe nullo”, ha quindi aggiunto il docente.

“Con ciò si dimostra che non è vero che l’autonomia decisionale del singolo gli permette di fare qualsiasi cosa. Non si può rinunciare ad essere liberi, come non si può rinunciare alla vita”, ha osservato.


“Secondo aspetto: l’eutanasia – sia quando è frutto di un’azione (un’iniezione velenosa) sia quando è frutto di un’omissione dolosa e colpevole (sospensione dell’alimentazione) – comporta sempre il coinvolgimento di una terza persona, che liberamente si offre di togliere la vita a un’altra”.

“Dunque, anche in presenza del consenso del malato, siamo sempre di fronte all’uccisione di un essere innocente – ha quindi sottolineato il professor Palmaro –. La legalizzazione dell’omicidio del consenziente è un trauma giuridico che sconvolge radicalmente l’intera impalcatura dello stato di diritto”.


“Terzo argomento: la richiesta del paziente è solo apparentemente il fondamento dell’atto eutanasico. Infatti, o si decide che qualsiasi richiesta di eutanasia deve essere assecondata, e in tal caso anche una persona sana avrebbe diritto a ottenerla – ma si coglie subito l’esito paradossale di una simile soluzione –, oppure lo Stato elabora dei criteri in base ai quali si può ottenere la morte pietosa”.

“Ma così facendo – ha precisato –, si noterà che il vero discrimine è rappresentato da un giudizio sulla qualità della vita, operato dalle strutture dello Stato. Dunque, il fondamento dell’eutanasia è sempre e comunque un giudizio esterno al malato, sul fatto che quella sia una vita che merita o non merita di essere vissuta”.


“Chi o che cosa traccerà l’esile linea di demarcazione fra un paziente che merita di essere terminato e un altro che non lo merita?”, si è poi domandato.


“Quarto argomento: la decisione del paziente è assolutamente inattendibile – ha continuato –. Se è formulata prima della malattia, rimane il dubbio che essa sia ancora valida quando il soggetto ha perso conoscenza; se invece è contestuale alla sofferenza, nessuno può garantire che essa sia lucida e libera, proprio per la morsa che la sofferenza stringe intorno alla psiche del sofferente”.


“Quinto argomento: la legalizzazione non è un elemento neutro della normazione, ma ha un indubitabile effetto incentivante. Essa mette alle strette tutti i malati deboli – anziani, disabili, abbandonati dalla famiglia, persone sole – costringendoli a interrogarsi se non sia una forma di egoismo sottrarsi a una soluzione percorribile, che altri seguono. Insomma: si suggerisce alla gente qual è la via moderna e pulita per togliere il disturbo”.


“Sesto argomento: la legalizzazione trasformerebbe radicalmente la missione del medico. Oggi, ogni paziente sa che con ogni buon medico si instaura un’alleanza terapeutica, che ha lo scopo non già di guarire (spesso non è possibile) ma di curare sempre. Il paziente si aspetta che un giorno il medico possa dichiararsi impotente a guarire, ma sa anche che il suo compito non è dare la morte”.


“Con la legalizzazione, il medico assumerebbe – al di là delle ipocrisie pietose dell’antilingua – il compito di funzionario statale addetto alla terminazione di alcuni pazienti. Il nostro rapporto con il medico, il suo sguardo su di noi, cambierebbe radicalmente. In peggio!”, ha poi commentato.


“Settimo argomento: il cosiddetto pendio scivoloso. In tutti i Paesi dove si è legalizzata l’eutanasia solo su richiesta del paziente, ci si è presto accorti che spesso essa veniva praticata anche in assenza di qualsiasi domanda del malato”.

“Questo è molto ovvio e persino logico: poiché l’eutanasia è invocata per porre fine a ‘sofferenze insopportabili’, spesso sono pazienti incapaci di intendere e di volere a subirle (non si sa quanto consapevolmente) e il vero dramma è di coloro che li circondano: ma se uccidere per pietà è ritenuto ‘il’ bene del paziente, non si vede perché mai fermarsi di fronte alla mancanza del suo parere”.


“Ottavo argomento: i malati cronici costano. Dunque, in un ordinamento in cui fosse accolto il principio che uccidere un innocente è lecito se fatto per motivi pietosi, sarebbe perfettamente coerente attendersi che si ponga fine alle vite ritenute insignificanti ma costose per la società. Ovviamente, in nome del supremo interesse della scienza e della medicina, e della necessità di usare le poche risorse a favore di pazienti con una qualità di vita migliore”, ha aggiunto.


“Nono e ultimo argomento: il precedente nazista. Adolf Hitler è stato il primo e il più convinto sostenitore dell’eutanasia per motivi pietosi. Le camere a gas naziste sono state inaugurate da tedeschi di pura razza ariana, nient’affatto ostili al regime, ma considerati portatori di ‘vite senza valore’”.

“Ci sono lettere riservate del Führer al suo medico personale, in cui Hitler spiega le ragioni filantropiche per cui è meglio eliminare handicappati, scemi, storpi, reduci della prima guerra mondiale. Non ne parla con odio o disprezzo, ma con sincera pietà. Proprio come accade oggi ai fautori dell’eutanasia liberale e democratica”.

“Per rivivere certi orrori non è affatto necessario far rivivere le camice brune e le svastiche – ha commentato Palmaro –. Basta lasciare spazio alla cultura che fu alla base di quell’orrore”.

“Chissà se la modernità avrà il coraggio di ammettere che i mostri che si agitano nelle parti più segrete del nostro cuore non sono morti con il nazismo, ma sono sempre pronti a riemergere, dietro la faccia pulita e rispettabile della pietà interessata”, ha poi concluso.

professor Palmaro

da: ZENIT.org del 24/1/2006