a cura e con una Introduzione e Note del Rev. Padre Pasquale Valugani
Milano : Pontificia editrice arcivescovile G. Daverio,
stampa. 1953
Pietro d'Alcantara,
(1499-1562), uno dei direttori di S. Teresa, fu Riformatore, e fondatore
d'alcune Province de' frati Scalzi di S. Francesco in
Spagna. Il trattaello sull'orazione, che qui
regaliamo, fu tradotto quasi in tutte le lingue. Fu canonizzato nel 1669 da
papa Clemente IX .
"Se vuoi sopportare con pazienta le avversità
e le miserie di questa vita, sii uomo di preghiera. Se vuoi conseguire virtù e
forze per vincere le tentazioni del nemico, sii uomo di preghiera. Se vuoi
mortificare la tua volontà con tutte le sue passioni e i suoi desideri, sii uomo
di preghiera. Se vuoi conoscere le astuzie di Satana e difenderti dai suoi
inganni, sii uomo di preghiera. Se vuoi vivere lietamente e procedere
dolcemente per la strada della penitenza e dell'affanno, sii uomo di preghiera.
Se vuoi allontanare dalla tua anima le mosche importune di vani pensieri e
sollecitudini, sii uomo di preghiera. Se vuoi sostentare la tua anima con la
pienezza della devozione e tenerla sempre piena di buoni pensieri e desideri,
sii uomo di preghiera. Se vuoi rafforzare e rinsaldare il tuo cuore sulla
strada di Dio, sii uomo di preghiera. Infine, se vuoi sradicare dalla tua anima
tutti i vizi e piantare al loro posto la virtù, sii uomo di preghiera, poiché
nella preghiera si riceve l'unzione e la grazia dello Spirito Santo, che insegna
ogni cosa".
COMPOSTO DAL
PADRE FRA' PEDRO DE ALCANTARA
FRATE MINORE DELL'ORDINE DEL BEATO SAN FRANCESCO,
DIRETTO AL MAGNIFICO E DEVOTO SIGNORE RODRIGO DE CHAVES,
ABITANTE DI CIUDAD RODRIGO
Magnifico e devoto signore, non mi sarei mai indotto a comporre questo breve trattato, né a consentire che fosse stampato, se tante volte la signoria vostra non mi avesse dato l'incarico di scrivere qualcosa sulla preghiera, che fosse breve e compendioso e tanto chiaro da portare vantaggio a tutti e di così piccola mole e prezzo da avvantaggiare soprattutto i poveri che non hanno tanta possibilità di accedere ai libri più costosi.
Essendo scritto con tanta chiarezza,
porterà benefici ai semplici, che non hanno forte intelletto.
Sembrandomi che non fosse minor merito
in questo caso l'obbedire a chi richiede cosa tanto pietosa e santa, del frutto
che da essa si può trarre, volli mettere in pratica questo santo comandamento,
ben certo che non può farmi che bene questo piccolo lavoro, se mi danno qualche
parte del merito la buona volontà e l'affetto che ho verso di voi e verso Donna
Francesca vostra moglie, legata a voi non meno dal vincolo della carità e
dell'amore a Gesù Cristo nostro bene, che da quello del matrimonio.
Anche se è vero (e lo è) che tutto il
bene che fanno i nostri fratelli, e di cui noi cristiani godiamo, va a tutto
vantaggio della loro edificazione, io potrò ben dire Quod particeps sum devotionis vestrae e di tutte le
vostre opere buone, poiché, come figli molto amati nel Signore (così infatti
voglio chiamarvi) dal momento che mi chiamate padre, non è mai venuta meno la
povertà della mia dottrina e la buona volontà nell'aiutare la ricchezza dei
vostri santi propositi e alti pensieri. Avendo letto molti libri su questa
materia, ne ho tratto e desunto ciò che mi è parso migliore e più vantaggioso.
Voglia il Signore che ne traggano
vantaggio tutti coloro che lo cercano e che voi ne traiate l'interesse
spirituale del vostro buon desiderio e io della vostra buona volontà, tutto ad
onore e gloria di Gesù Cristo nostro bene, a cui appartiene tutto ciò che è
buono.
capitolo
primo
Poiché questo breve trattato
parla di preghiera e di meditazione, sarà bene dire in poche parole il frutto
che si può trarre da questo santo esercizio perché gli uomini vi si dedichino
con cuore più lieto.
È noto che fra i più gravi
impedimenti dell'uomo al conseguimento della sua piena felicità e beatitudine
vi sono la cattiva inclinazione del cuore e la difficoltà e la pesantezza con
cui si muove a bene operare; se non ci fossero queste di mezzo, infatti, gli
sarebbe facilissimo percorrere il cammino delle virtù e raggiungere il fine per
cui fu creato.
Per questo, dice l'apostolo:
“Approvo con compiacimento la legge di
Dio, secondo l'uomo interiore, ma vedo una legge diversa nelle mie membra che
contraddice la legge del mio spirito e mi conduce prigioniero con sé alla legge
del peccato" (Rm 7, 23).
Questa dunque è la causa più
frequente di ogni nostro male.
Per togliere quindi questa pesantezza e difficoltà e facilitare questa azione, una delle cose che portano maggiore vantaggio è la devozione.
Infatti, come dice san
Tommaso, la devozione altro non è che una sollecitudine
e leggerezza nel compiere il bene (II Quest., 82,
art. 10; II Quest., 85, 3, I.), che elimina dalla
nostra anima ogni difficoltà e pesantezza e ci rende solleciti e leggeri per
ogni bene. È infatti un alimento spirituale, un refrigerio, una rugiada del
cielo, un soffio e un alito dello Spirito Santo e un soprannaturale sentimento,
che in tal modo regola, sforza e trasforma il cuore dell'uomo da dargli nuovo
piacere e respiro per le cose dello spirito e nuova noia e ripugnanza per
quelle dei sensi. Il che ci è provato dall'esperienza di ogni giorno, poiché,
quando una persona spirituale esce da qualche devota e profonda preghiera, si
rinnovano in lui tutti i buoni propositi, le inclinazioni e le determinazioni
di operare il bene, il desiderio di compiacere ed amare un Signore tanto buono
e dolce come gli si è mostrato e di soffrire nuove tribolazioni e sacrifici e
persino di spargere il sangue per lui, ed infine rinverdisce e si rinnova tutta
la freschezza dell'anima.
Se mi domandi poi in che modo
si attinge questo così forte desiderio di devozione, a ciò risponde lo stesso
santo dottore dicendo che lo si consegue dalla meditazione e contemplazione
delle cose divine, perché meditandole e considerandole profondamente, trabocca
nella volontà quel desiderio e sentimento che chiamiamo devozione, che ci
incita e muove ad ogni bene. E per questo tanto si loda questo religioso
esercizio da parte di tutti i santi, perché è il mezzo di attingere la
devozione, che pur essendo una sola virtù, ci rende capaci e solleciti in tutte
le altre virtù e ne è come lo stimolo generale. Se vuoi persuaderti della
verità di ciò, guarda quanto esplicitamente dice san Bonaventura (in La vita di Cristo) con queste parole:
"Se vuoi sopportare con pazienta le avversità e le miserie di questa
vita, sii uomo di preghiera. Se vuoi conseguire virtù e forze per vincere le
tentazioni del nemico, sii uomo di preghiera. Se vuoi mortificare la tua
volontà con tutte le sue passioni e i suoi desideri, sii uomo di preghiera. Se
vuoi conoscere le astuzie di Satana e difenderti dai suoi inganni, sii uomo di
preghiera. Se vuoi vivere lietamente e procedere dolcemente per la strada della
penitenza e dell'affanno, sii uomo di preghiera. Se vuoi allontanare dalla tua
anima le mosche importune di vani pensieri e sollecitudini, sii uomo di
preghiera. Se vuoi sostentare la tua anima con la pienezza della devozione e
tenerla sempre piena di buoni pensieri e desideri, sii uomo di preghiera. Se
vuoi rafforzare e rinsaldare il tuo cuore sulla strada di Dio, sii uomo di
preghiera. Infine, se vuoi sradicare dalla tua anima tutti i vizi e piantare al
loro posto la virtù, sii uomo di preghiera, poiché nella preghiera si riceve
l'unzione e la grazia dello Spirito Santo, che insegna ogni cosa. Inoltre, se
vuoi salire alle altezze della contemplazione e godere dei dolci abbracci, dello
sposo, impegnati nella preghiera, perché questa è la strada per cui l'anima
sale alla contemplazione e al piacere delle cose celesti. Vedi dunque quanto
grandi siano le virtù e il potere della preghiera? A comprovare tutto ciò (a
parte la testimonianza delle Sacre Scritture) basta per ora la prova dell'aver
visto e sentito ogni giorno molte persone semplici, che hanno raggiunto tutte
le cose che abbiamo detto e altre ancora più grandi, mediante l'esercizio della
preghiera".
Fin qui le parole di san Bonaventura.
Quale tesoro, dunque, quale riserva si può trovare più ricca e più piena di
questa?
Ascolta anche ciò che dice, a
questo proposito, un altro dottore (San
"Nella preghiera, egli dice, si purifica l'anima dai peccati, si
alimenta la carità, si conferma la fede, si rafforza la speranza, si rallegra
lo spirito, si struggono le viscere, si purifica il cuore, si scopre la verità,
si vince la tentazione, fugge la tristezza, si rinnovano i sensi, si vivifica
la virtù infiacchita, si allontana la tiepidezza, si consuma la ruggine dei
vizi; in essa non mancano scintille vive di desiderio del ciclo, tra le quali
arde la fiamma del divino amore. Grandi sono i meriti della preghiera! Grandi i
suoi privilegi! A essa sono aperti i cieli. A essa si scoprono i segreti, a
essa è sempre attento l'orecchio di Dio".
Questo basta per ora a vedere
in qualche modo il frutto di questo santo esercizio.
capitolo secondo
Visto quanto frutto portino
la preghiera e la meditazione, vediamo ora quali siano le cose su cui dobbiamo
meditare, al che si può rispondere che, poiché questo santo esercizio tende ad
alimentare nei nostri cuori amore e timore di Dio e osservanza dei suoi
comandamenti, sarà materia più conveniente di esso quella che più si confà a
questo proposito. E sebbene sia vero che tutte le cose create e tutte le cose
spirituali e sacre ci inducono a ciò, generalmente parlando, i misteri della
nostra fede contenuti nel simbolo del Credo sono, a tal fine, più utili e
vantaggiosi, poiché in esso si tratta dei benefici divini, del giudizio finale,
delle pene dell'inferno e della gloria del paradiso, che sono grandissimi
stimoli a muovere il nostro cuore all'amore e al timore di Dio e vi si tratta
inoltre della vita e della passione di Cristo, nostro Salvatore, in cui
consiste ogni nostro bene.
Queste due cose
segnalatamente sono trattate nel simbolo e sono quelle che normalmente
rimuginiamo nella nostra meditazione, per cui a ragione si dice che il simbolo
è la materia più adeguata a questo santo esercizio, anche se, per ciascuno
potrà esserlo ciò che maggiormente muove il suo cuore all'amore e al timore di
Dio.
Stando così le cose, per
introdurre su questa strada i neofiti e principianti (a cui conviene dare il
cibo già masticato e digerito) segnalerò qui brevemente due maniere di
meditazione per tutti i giorni della settimana, alcune per la notte e altre per
la mattina, tratte in gran parte dai misteri della nostra fede, perché, come
diamo al nostro corpo due pasti al giorno, così anche li diamo all'anima il cui
cibo consiste nella meditazione e considerazione delle cose divine.
Di queste meditazioni, alcune
sono sui misteri della sacra passione e resurrezione di Cristo e le altre sui
misteri che abbiamo detto. Chi non avesse tempo per raccogliersi due volte al
giorno, potrà almeno meditare una settimana i primi misteri, un'altra gli
altri, o limitarsi solo a quelli della passione e vita di Gesù Cristo (che sono
i più importanti) sebbene non convenga trascurare gli altri, soprattutto agli
inizi della conversione, perché sono i più adatti a questo tempo in cui si
cercano principalmente il timore di Dio, il dolore e l'aborrimento dei peccati.
Seguono le prime sette
meditazioni per i giorni della settimana.
Lunedì
Potrai dedicare questo giorno
all'esame dei tuoi peccati e alla conoscenza di te stesso, per vedere nell'uno
da quanti mali sei affetto e nell'altra che non hai nessun bene che non provenga
da Dio, che è il mezzo per raggiungere l'umiltà che è madre di tutte le virtù.
Per questo, devi in primo luogo pensare alla moltitudine dei peccati della vita
passata, soprattutto a quelli che hai commesso nel tempo in cui meno conoscevi
Dio. Se sai guardare bene, infatti, ti accorgerai che si sono moltiplicati più
dei capelli della tua testa e che sei vissuto allora come ateo che non sa
nemmeno che cosa sia Dio.
Passa quindi brevemente in
rassegna i dieci comandamenti e i sette peccati mortali e ti accorgerai che non
ce n'è nessuno in cui tu non sia caduto molte volte con l'opera, la parola o il
pensiero.
Pensa poi a tutti i benefici
che hai ricevuto da Dio e al tempo della tua vita passata e guarda come lo hai
impiegato, poiché dovrai renderne conto a Dio. Dimmi poi: come hai speso la
fanciullezza? e l'adolescenza? e la giovinezza? e tutti i giorni della vita
passata? In che cosa hai impegnato i sensi del corpo e le potenzialità
dell'anima che Dio ti ha dato, perché tu lo conoscessi e lo servissi? In cosa
hai adoperato i tuoi occhi se non nel guardare cose vane? In cosa i tuoi
orecchi se non nell'ascoltare menzogne? In cosa la tua lingua se non in mille
forme di imprecazioni e di mormorazioni? In cosa il tuo gusto, il tuo olfatto,
il tuo tatto, se non nei piaceri e nelle blandizie dei sensi?
Che vantaggio hai tratto dai
santi sacramenti che Dio ha istituito per aiutarti? Come lo hai ringraziato per
i suoi benefici? Come hai risposto alle sue chiamate? Come hai usato la salute,
le forze, i doni di natura e i beni che si dicono della fortuna e le
disposizioni e le opportunità di vivere rettamente ? Che cura hai avuto del tuo
prossimo che Dio ti ha affidato e delle opere di misericordia che ti ha
indicato? Che cosa risponderai il giorno della resa dei conti quanto Dio ti
dirà:
"Rendi conto di ciò che
ti ho affidato, perché io non voglio più che te ne occupi” (Lc
16, 2)
Oh, albero secco e pronto per
l'eterno tormento! Cosa risponderai nel giorno in cui ti chiederanno conto
della tua vita e di tutti i suoi istanti?
In terzo luogo, pensa ai
peccati che hai fatto e fai ogni giorno da quando hai aperto gli occhi alla
conoscenza di Dio e ti accorgerai che Adamo ancora vive in tè con molte delle
sue radici e dei suoi vecchi costumi. Guarda come sei ribelle a Dio, quanto
ingrato ai suoi doni, quanto restio alle sue ispirazioni, quanto pigro nelle
opere del suo servizio, che non compi mai con quella prontezza e diligenza ne’
con quella purezza di intenzioni che dovresti avere se non altro per rispetto
del mondo.
Considera quanto sei duro con
il prossimo e indulgente con te stesso, quanto amico della tua volontà, della
tua carne, del tuo onore e di tutti i tuoi interessi.
Guarda ancora come sei
superbo, ambizioso, irato, impulsivo, vanaglorioso, invidioso, malizioso, amante
dei tuoi comodi, volubile, volgare, sensuale, sollecito ai divertimenti e alle
chiacchiere, alle risate e alle ciarle. Guarda quanto sei incostante nei buoni
propositi, quanto sconsiderato nelle tue parole, sprovveduto nelle tue opere e
quanto vile e pavido in ogni impresa importante.
In quarto luogo, considera in
quest'ordine la moltitudine delle tue colpe, esamina la loro gravità, per
vedere come da ogni parte è cresciuta la tua miseria.
A tal fine, devi in primo
luogo considerare nei peccati della vita passata queste tre circostanze: Contro chi hai peccato, perché hai peccato e
in quale maniera hai peccato.
Se guardi contro chi hai
peccato, ti accorgerai che hai peccato contro Dio, la cui bontà e maestà è
infinita e i cui doni e la cui misericordia nei riguardi dell'uomo superano la
sabbia del mare. E poi, perché hai peccato? Per un punto d'onore, per un
bestiale piacere, per un filo d'interesse e, molte volte neppure per quello,
per pura abitudine e disdegno di Dio. Ma in che modo hai peccato? Con tanta
facilità, con tanta sfacciataggine, tanto senza scrupoli, quanto senza timore e
a volte con tanta disinvoltura come se peccassi contro un Dio da burla, che non
sa ne’ vede ciò che accade nel mondo. Era questo dunque l'onore che dovevi a
così alta maestà?
Questa la gratitudine per
tanti doni? Così ripaghi il sangue prezioso che si sparse sulla croce e le
percosse e i colpi che furono ricevuti per te? O miserabile per quello che hai
perduto e ancora di più per quello che hai fatto e ancora, ancora di più se,
con tutto ciò, non avverti la tua perdizione! Dopo di ciò, ti sarà di gran
profitto fissare la tua attenzione sul tuo nulla, cioè sul fatto che tu, da
parte tua, non hai altro che nulla e peccato, poiché tutto il resto è di Dio.
È chiaro infatti che i beni
di natura come quelli di grazia, che sono più grandi, sono suoi, sua è la
grazia della predestinazione (che è la fonte di tutte le altre grazie), sua
quella della vocazione, sua la grazia concomitante e sua la grazia della
perseveranza e sua la grazia della vita eterna. Che hai infatti di cui poterti
gloriare, se non nulla e peccato? Fermati un poco a considerare questo nulla e
solo questo metti a tuo credito e tutto il resto attribuiscilo a Dio, per
vedere chiaramente e tangibilmente chi sei tu e chi è lui, quanto sei povero tu
e quanto è ricco lui e, di conseguenza, quanto poco devi confidare in te stesso
e stimarti e quanto confidare in lui, amare lui e gloriarti in lui.
Considera quindi tutte le
cose suddette, valutati nel modo più infimo possibile.
Pensa che non sei altro che
una canna che oscilla ad ogni vento, senza virtù, senza fermezza, senza
stabilità, senza nessuna consistenza. Pensa che sei un Lazzaro morto da quattro
giorni, un corpo corrotto e fetido da cui tutti distraggono gli occhi per non
vedere. Fa' conto di presentarti così di fronte a Dio e ai suoi angeli e
sentiti indegno di alzare gli occhi al cielo, di essere sostenuto dalla terra e
servito dalle creature, sentiti indegno persino del pane che mangi e dell'aria
che respiri.
Prostrati con la pubblica
peccatrice ai piedi del Salvatore, col volto confuso e con la vergogna che
dovrebbe patire una donna che avesse tradito il marito e, con tutto il dolore e
il pentimento del tuo cuore, chiedigli perdono dei tuoi errori e implora che, per
la sua infinita pietà e misericordia, acconsenta di tornare ad accoglierti
nella sua casa.
Martedì
In questo giorno penserai
alle miserie della vita umana, per poter constatare quanto la gloria del mondo
sia vana e degna di disprezzo, poiché si fonda su di un debole cimento come
questa miserabile vita; e sebbene i difetti e le miserie di questa vita siano
quasi innumerevoli, tu puoi ora prendere in esame particolarmente questi sette.
In primo luogo, considera
quanto breve sia questa vita, dal momento che il tempo più lungo di essa è di
settanta od ottant'anni, perché tutto il resto (se
qualcosa resta, come dice il profeta) è travaglio e dolore (Sal 89, 10) e, se
da qui si toglie il tempo della fanciullezza, che è più vita da bestiole che da
uomini, quello che si spende dormendo quando non facciamo uso né dei sensi né
della ragione (che ci fa uomini), troveremo che è ancora più breve di quello
che sembra. E, soprattutto, se paragoni questa all'eternità della vita futura,
ti sembrerà appena un istante e ti accorgerai quanto sono fuorviati coloro che,
per godere di questo soffio di vita tanto breve, si dispongono a perdere la
pace di quella destinata a durare per sempre.
In secondo luogo, considera
quanto incerta sia questa vita (e questa è una nuova miseria che si aggiunge
all'altra), dal momento che non solo questa vita è di per sé tanto breve, ma è
anche poco sicura e mutevole. Infatti, quanti sono coloro che giungono ai
settanta od ottanta anni di cui abbiamo detto? A quanti viene meno la tela di
cui si è appena iniziata la tessitura? Quanti se ne vanno (come si suole dire)
nel fiore degli anni o prematuramente? Non
sapete, dice il Salvatore, quando il
vostro Signore verrà, se di mattina, se a mezzogiorno, se a mezzanotte, se al
canto del gallo (Mr 13, 35).
Ti gioverà, per renderti
meglio conto di questo, ricordarti della morte di tante persone che avrai
conosciuto in questo modo, specialmente tuoi amici e familiari e di qualche
persona nota ed illustre che la morte colse in età diverse, spezzando tutti i loro
propositi e le loro speranze.
In terzo luogo, pensa quanto
sia fragile e peritura questa vita e ti accorgerai che non c'è vaso di vetro
più delicato di essa, dal momento che un soffio d'aria, un colpo di sole, una
brocca d'acqua fredda, il contagio di un ammalato bastano a spogliarcene, come
ci accorgiamo dalla quotidiana esperienza di molte persone cui una sola delle
suddette occasioni basta per precipitare, ancora nel fiore degli anni.
In quarto luogo, considera
quanto sia mutevole la vita e come non sia mai stabilmente nella stessa
condizione. E per questo devi pensare quanto facilmente mutino i nostri corpi,
che non restano mai nello stesso stato di salute, le nostre anime, che sempre
sono sconvolte come il mare da venti ed onde diverse di passioni e appetiti e
affetti e cure che ad ogni istante ci turbano e, infine, quanti siano i
cambiamenti (che diciamo) della fortuna, che non consente alle cose della vita
umana di permanere a lungo, ne’ in uno stesso stato, ne’ nella stessa
condizione di prosperità e gioia, bensì sempre gira da un luogo all'altro.
Considera inoltre quanto ininterrotto sia il divenire della nostra vita che non
si ferma ne’ di giorno ne’ di notte, ma va sempre estinguendosi.
Che cosa è, dunque, la nostra
vita, se non una candela che si spegne? Quanto più arde e risplende, tanto più
si consuma.
Che cosa è la nostra vita, se non un fiore che sboccia
al mattino, a metà giornata è appassito e alla sera si secca? (Gb 14, 2)
Proprio per questo continuo
mutamento, Dio dice per mezzo di Isaia: Tutta
la carne è erba e tutta la sua gloria è come il fiore del campo (Is 40, 6). E così commenta queste parole san Girolamo:
"Veramente chi consideri la fragilità della nostra carne e come in ogni
istante cresciamo e diminuiamo, senza mai permanere nello stesso stato e come
questo momento in cui stiamo parlando, scrutando, facendo piani, già si sta
allontanando dalla nostra vita, non esiterà a chiamare erba la nostra carne e
fiore di campo la nostra gloria" (Super Isai
XL, 6).
Chi ora è un lattante, diventa presto un ragazzo e, da ragazzo, giovane e, da giovane, giunge tosto alla vecchiaia e si ritrova vecchio prima di aver fatto in tempo a meravigliarsi di non essere più un ragazzo. E la donna bella che attirava schiere di corteggiatori, ben presto si trova la fronte solcata dalle rughe e diventa brutta quella che prima era così amabile.
In quinto luogo, considera
quanto sia ingannevole (e questa per sventura è la cosa peggiore, poiché tanti
inganna e tanti ciechi innamorati si tira dietro) poiché, pur essendo brutta,
sembra bella, pur essendo amara, sembra dolce, pur essendo breve, sembra, a
ciascuno la sua, lunga e, pur essendo tanto misera, sembra tanto amabile che
non c'è pericolo, ne’ fatica a cui gli uomini non si sottopongano per essa, sia
pure a danno della vita eterna, facendo cose per cui perderanno la vita
imperitura.
In sesto luogo, considera
come, oltre ad essere così breve, (come abbiamo detto) questo poco di vita che
abbiamo sia soggetto a tante miserie sia dell'anima che del corpo, da non essere
che una valle di lacrime, un mare di infinite miserie.
Scrive san Girolamo che Serse, il potentissimo re che spianava i monti e superava i
mari, salendo su di un'alta montagna per veder da lì un esercito che aveva
composto con tantissime genti, dopo averlo attentamente guardato, si mise a
piangere e, interrogato perché piangesse, rispose: Piango perché da qui a cent'anni non sarà vivo nessuno di quelli che vedo davanti
a me. "Oh, se potessimo, dice
san Gerolamo, salire su qualche luogo
elevato da dove potessimo vedere tutta la terra sotto i nostri piedi. Da lì
potresti vedere le cadute e le miserie di tutto il mondo, popoli distrutti da
altri popoli, regni da altri regni. Potresti vedere come alcuni sono torturati,
altri uccisi, alcuni affogati nel mare, altri fatti prigionieri. Qui vedresti
nozze, li pianti, qui alcuni uccidere, lì altri morire, alcuni navigare nelle
ricchezze, altri languire nella miseria. E, infine, potresti vedere non solo
l'esercito di Serse, ma tutti gli uomini del mondo
che oggi ci sono e che tra poco non ci saranno più" (Ad Eliodoro, Epist. 60 n. 18, Tomo I.).
Passa in rassegna tutte le infermità e le sofferenze del corpo umano e tutte le afflizioni e gli affanni dello spirito e i pericoli che ci sono in tutte le condizioni e in tutte le età dell'uomo e vedrai ancora più chiaramente quante siano le miserie di questa vita, poiché, vedendo chiaramente quanto poco è ciò che il mondo può darci, potrai più facilmente imparare a disprezzarlo.
A tutte queste miserie si
aggiunge l'ultima cioè la morte che è, sia per il corpo che per l'anima,
l'ultima di tutte le cose terribili, poiché il corpo sarà in un attimo
spogliato di ogni cosa e dell'anima si deciderà allora ciò che sarà di essa per
sempre.
Tutto questo ti farà capire
quanto misera e breve sia la gloria del mondo e, di conseguenza, quanto sia
degna di essere sdegnata e disprezzata.
Mercoledì
In questo giorno penserai al
passaggio della morte, poiché questa è una delle considerazioni più vantaggiose
che ci siano, sia per attingere la vera sapienza, sia per fuggire dal peccato,
sia per cominciare per tempo a prepararsi alla resa dei conti.
Pensa dunque, in primo luogo,
a quanto incerta sia l'ora in cui la morte ti coglierà, poiché non sai ne’ in
che giorno, né in che ora, né in che stato ti prenderà. Di certo sai solo che
devi morire. Tutto il resto è incerto, salvo che, di solito, quest'ora
sopraggiunge nel tempo in cui l'uomo meno ci pensa e meno se ne ricorda.
Pensa, in secondo luogo, alla
separazione che allora avverrà non solo da tutte le cose che si amano, ma anche
tra l'anima e il corpo, che sono uniti da sempre. Se si considera così grave
sventura l'esilio dalla patria e dal luogo natio, anche quando l'esule può
portare con sé tutto ciò che ama, quanto più grave sarà l'esilio universale da
tutte le cose della casa e dai tuoi affari, dagli amici, dal padre, dalla
madre, dai figli e da questa luce ed aria che appartiene a tutti? Se un bue si
lamenta quando lo separano dal compagno con cui ha arato, che lamento farà il
tuo cuore quando ti separeranno da tutti coloro in compagnia dei quali hai
sopportato il giogo di tutti i pesi di questa vita?
Considera anche la pena che
l'uomo affronta quando gli appare evidente dove debbono finire il corpo e
l'anima dopo la morte, perché del corpo già sai che non gli può toccare sorte
migliore di una fossa lunga sette piedi in compagnia degli altri morti, ma
dell'anima non sai per certo ciò che avverrà né che destino le toccherà. È
questa una delle maggiori angosce che si debbono affrontare, sapere che c'è
gloria o pena per sempre e non sapere quale di questi destini tanto diversi ci
deve capitare.
A questa segue un'angoscia
non minore, e cioè il rendiconto che dobbiamo dare, che è tale da far tremare
anche i più forti.
Di Arsenio si scrive che,
quando stava per morire, cominciò ad avere paura e che i suoi discepoli gli
chiesero: Padre, anche tu ora hai paura? Ed egli rispose: Figli miei, questa
paura non mi è nuova perché sono sempre vissuto con essa.
In quel momento, si mostrano
all'uomo tutti i peccati della vita passata come uno squadrone di nemici che
incombono su di lui e quanto più gravi sono stati e quanto maggior piacere ne
ha ritratto, tanto più vivamente gli si mostrano e sono per lui causa di più
grande timore.
Quanto amara è allora la
memoria del piacere passato che in altro tempo sembrava così dolce! Certamente
a ragione disse il sapiente:
"Non guardare il vino quando è rosso e quando il suo colore risplende
nel bicchiere, perché, anche se al momento di bere sembra dolce, alla fine
morde come una vipera e sparge il suo veleno come un basilisco" (Pr 23, 31-32). Questa è la feccia del velenoso beveraggio
del nemico, questo è il fondo del calice di Babilonia dorato all'esterno.
Allora infatti l'uomo
miserabile, vedendosi accerchiato da tanti accusatori, comincia a temere questo
giudizio e a dire fra sé: Povero me, che mi sono tanto ingannato e sono andato
per questa strada, che sarà in questo giudizio dell'opera mia?
Se san Paolo dice che l'uomo
coglierà ciò che avrà seminato (Gal 6, 8), io che ho seminato solo secondo la
carne che cosa spero di raccogliere se non corruzione?
Se san Giovanni dice che in
quella città sublime che è tutta d'oro fuso, non deve entrare nulla di sporco (Ap 21, 27), cosa deve aspettarsi chi ha vissuto in modo
tanto sporco e turpe?
A questo servono i sacramenti
della Confessione, della Comunione e dell'Estrema Unzione che è l'ultimo
soccorso con cui la Chiesa ci può aiutare in quel difficile momento e così in
questo come negli altri devi considerare le ansie e le angosce che è destinato
a patire l'uomo che ha vissuto male e quanto vorrebbe, allora, avere percorso
una strada diversa, che vita vorrebbe fare allora, se gliene fosse concesso il
tempo, come si sforzerà di chiamare Dio mentre le pene e l'affanno
dell'infermità gliene consentiranno appena l'occasione.
Guarda infine quanto siano
spaventosi e temibili gli ultimi travagli della malattia, che sono messaggeri
della morte. Il petto si gonfia nell'affanno, la voce si arrochisce, i piedi
perdono forza, le ginocchia si gelano, le narici si affilano, gli occhi si
fanno fondi, il volto già morto si fa immobile, la lingua non riesce più a
svolgere il suo compito e infine, nell'affanno dell'anima che si allontana,
tutti i sensi turbati perdono forza e valore. Ma è soprattutto l'anima che
patisce i maggiori affanni, perché combatte e agonizza, perché se ne va e
perché teme la resa dei conti che le si prepara. Essa, naturalmente, rifiuta di
andarsene, vorrebbe fermarsi e teme la resa dei conti.
Uscita quindi l'anima dal
corpo, ti restano ancora due strade da percorrere, una per accompagnare il
corpo fino alla sepoltura e l'altra per seguire l'anima fino alla
determinazione del suo destino.
Considera ciò che accadrà in
ciascuna di queste due strade.
Guarda come resta il corpo
quando l'anima lo abbandona, il nobile abbigliamento di cui lo forniscono per
seppellirlo e come si affrettano a portarlo via di casa. Pensa alla sepoltura
con tutto ciò che l'accompagna, i rintocchi delle campane, le domande di tutti
sul morto, i riti e i canti dolenti della Chiesa, il corteo e il dolore degli
amici e infine tutte le cose particolari che si fanno in tali momenti fino a
quando si lascia il corpo alla tomba, dove resterà sepolto in quella terra di
perpetuo oblio.
Lasciato il corpo alla
sepoltura, poniti al seguito dell'anima e guarda che strada farà nella
sconosciuta regione e dove alfine si fermerà e come sarà giudicata.
Immagina di essere già
presente a questo giudizio e che tutta la corte del cielo stia attenta alla
sentenza, in cui si terrà conto di tutto quanto si è ricevuto, fino all'ultimo
spillo. Lì si chiederà conto della vita, delle ricchezza della famiglia, delle
ispirazioni di Dio, dei mezzi che abbiamo avuto per vivere bene e soprattutto
del sangue di Cristo, lì ciascuno sarà giudicato sulla base del rendiconto che
potrà fare di quanto avrà ricevuto.
Giovedì
In questo giorno penserai al
Giudizio finale, perché, pensando ad esso, si ridestino nell'anima tua i due
sentimenti principali che deve avere ogni vero cristiano, vale a dire il timor
di Dio e l'odio del peccato.
Pensa dunque, in primo luogo,
quanto sarà terribile il giorno in cui si investigheranno le cause di tutti i
figli di Adamo, si concluderanno i processi della nostra vita e si darà la
sentenza definitiva del nostro eterno destino. Quel giorno compendierà i giorni
di tutti i secoli passati, presenti e futuri, perché in esso il mondo renderà
conto di tutti i tempi e in esso proromperanno l'ira e lo sdegno raccolti in
tanti secoli. Tanto precipitoso scorrerà allora il fiume prorompente
dell'indignazione divina, che ha raccolto tanta ira e sdegno quanti peccati si
sono compiuti dall'inizio del mondo.
Considera in secondo luogo i
sintomi spaventosi che precederanno questo giorno, poiché, come dice il
Salvatore, prima che questo giorno venga,
ci saranno segni nel cielo, nella luna e nelle stelle e, infine, in tutte le
creature del cielo e della terra" (Lc 21,
11-28).
Tutte infatti presagiranno la
propria fine prima che avvenga e tremeranno e cominceranno a cadere prima di
cadere. Gli uomini, dice, cammineranno secchi e smagriti dalla morte, udendo
gli spaventosi muggiti del mare e vedendo le grandi onde e flutti che esso
solleverà, preannunciando le grandi calamità e sventure che minacceranno il
mondo con questi terribili segni. Così andranno attoniti e spaventati, coi
volti lividi e sfigurati, misurando i pericoli col proprio timore, così in pena
per se stessi da non ricordarsi di nessun altro, neppure del padre o del
figlio. Nessuno potrà far nulla per nessuno, perché nessuno riuscirà neppure a
badare a se stesso.
In terzo luogo, considera il
diluvio universale di fuoco che verrà prima del giudizio e il terribile suono
di tromba che suonerà l'Arcangelo per convocare tutte le generazioni del mondo,
perché si radunino al proprio posto e siano presenti al giudizio e soprattutto
la spaventosa maestà con cui il Giudice si presenterà.
Dopo di ciò, considera quanto
severo sarà il conto che a ciascuno si chiederà. Veramente, dice Giobbe,
l'uomo non può essere giustificato se posto a confronto con Dio (Gb 9, 2).
E se si vuol porre a giudizio
con Lui, di mille imputazioni che gli siano fatte, non potrà rispondere a una
sola.
Cosa proverà allora ciascuno
dei malvagi quando Dio entrerà con lui in questo esame e dall'interno della sua
coscienza gli dirà:
"Vieni qui, uomo malvagio, cosa hai visto in me per disprezzarmi tanto e
per passare dalla parte dei miei nemici? Io ti ho creato a mia immagine e
somiglianza. Io ti ho dato la luce della fede, io ti ho fatto cristiano e ti ho
redento col mio sangue. Per te ho digiunato, camminato, vegliato, sofferto,
sudato sangue. Per te ho subito persecuzioni, percosse, bestemmie, scherni,
colpi, oltraggi, tormenti e croce. Ne fanno testimonianza questa croce e i
chiodi che vi compaiono, queste piaghe dei piedi e delle mani che sono restate
nel mio corpo, ne fanno testimonianza il cielo e la terra di fronte a cui ho
sofferto. Che cosa hai fatto di questa anima tua che ho fatto mia col mio
sangue? A qual fine usasti ciò che io ho comprato a prezzo così alto? Oh, generazione
stolta ed adultera, perché hai voluto servire con affanno il tuo nemico
piuttosto che me, tuo redentore e creatore, con gioia? Tante volte vi ho
chiamato e non avete risposto, ho bussato alla vostra porta e non vi siete
destati, ho steso le mie mani sulla croce e non le avete guardate, avete
disprezzato i miei consigli, le mie promesse, le mie minacce. Dite ora dunque
voi, Angeli, giudicate voi, giudici, fra me e la mia vigna, cosa dovevo fare io
più di quello che ho fatto?"
Cosa risponderanno allora i
malvagi, coloro che si sono fatti beffe delle cose di Dio, coloro che hanno
deriso la virtù, coloro che hanno disprezzato la semplicità, coloro che hanno
tenuto in maggior conto le leggi del mondo che quelle di Dio, coloro che furono
sordi a tutti suoi richiami, insensibili a tutte le sue ispirazioni, ribelli a
tutti i suoi comandamenti, ingrati e duri ai suoi castighi e ai suoi benefìci?
Cosa risponderanno coloro che
vissero come se Dio non esistesse e coloro che non tennero conto di nessuna
legge, ma solo del loro interesse?
Che farete voi,
dice Isaia, il giorno della visitazione e
della sventura che vi verrà da lontano? (Is 10,
3) A chi chiederete aiuto? A cosa vi gioverà l'abbondanza delle vostre
ricchezze?
In quinto luogo, dopo tutto
questo, considera la terribile sentenza che il Giudice scaglierà contro i
malvagi e quella tremenda parola che farà arrossire le orecchie di chi
l'ascolterà.
Le sue labbra,
dice Isaia, sono piene d'indignazione e
la sua lingua è come fuoco che inghiotte (Is 30,
27). Quale fuoco brucerà come quella parola: Allontanatevi da me, maledetti, al fuoco eterno preparato da Satana e
dai suoi demoni (Mt 25, 41)?
Ciascuna di queste parole da
molto da meditare e da pensare: la separazione, la maledizione, il fuoco, la
compagnia e, soprattutto, l'eternità.
Venerdì
In questo giorno mediterai
sulle pene dell'inferno per rafforzare con questa meditazione la tua anima nel
timore di Dio e nell'odio del peccato.
Queste pene, dice san
Bonaventura, debbono essere immaginate con raffigurazioni e analogie fisiche,
come ci hanno insegnato i santi. Per la qual cosa, sarà opportuno immaginare il
luogo dell'inferno (come dice egli stesso) come un lago oscuro e tenebroso
posto sotto terra o come un pozzo profondissimo pieno di fuoco o come una città
spaventosa e tenebrosa che arde tutta di vive fiamme, nella quale non si sente
altro suono che le voci e i gemiti di tormentati e tormentatori e con perpetuo
pianto e strider di denti.
In questo sciagurato luogo
poi si patiscono principalmente due pene, una di senso e una di danno. Quanto
alla prima, pensa come non ci sarà lì alcun senso né dentro né fuori dell'anima
che non stia penando con un suo proprio tormento perché, dato che i malvagi
offesero Dio con tutte le loro membra e sensi e di tutti fecero arma per
servire il peccato, così ciascuno soffrirà con un proprio tormento e sconterà
quanto avrà meritato. Così gli occhi adulteri e disonesti pagheranno con la
visione orribile del peccato, così le orecchie che si prestarono ad ascoltare
menzogne e parole turpi udranno perpetue bestemmie e gemiti. Così le narici
avide di profumi e odori sensuali saranno piene di intollerabile fetore. Così
il gusto che si compiaceva di raffinati cibi e golosità sarà tormentato da sete
e fame rabbiosa. Così la lingua calunniatrice e blasfema sarà amareggiata dal
fiele. Così il tatto amante di raffinate mollezze andrà nuotando in quelle
gelate, dice Giobbe, del fiume Cocito e tra gli
ardori e le fiamme del fuoco. Così l'immaginazione patirà con l'impressione dei
dolori presenti, la memoria col ricordo dei piaceri passati, l'intelletto con
la prefigurazione dei mali futuri e la volontà con la grandissima ira e rabbia,
che i malvagi proveranno contro Dio. Infine, lì si troveranno uniti tutti i
mali e i tormenti che si possono pensare, perché, come dice san Gregorio, ci
sarà freddo che non si può sopportare, fuoco che non si può spegnere, tarli
invincibili, fetore intollerabile, tenebre dense, percosse di torturatori,
visioni di demoni, confusione di peccato e disperazione di ogni bene (Lib. 9, Maral, 46).
Dal momento che se si dovesse
patire qui anche il più piccolo di tutti questi mali, per un breve spazio di
tempo, ciò sarebbe impossibile da sopportare, dimmi, che cosa sarà lì patire
nello stesso tempo tutta questa moltitudine di mali in tutte le membra e in
tutti i sensi interni ed esterni e ciò non per lo spazio di una notte sola ne’
di mille, bensì per un'infinita eternità? Quali sensi, quali parole, quale
giudizio c'è nel mondo che possano valutare tutto questo?
Eppure non è questa la
maggiore delle pene che lì si debbono soffrire; ce n'è una senza paragone più
grave, che è quella che i teologi chiamano pena di danno, che consiste
nell'essere privi per sempre della vista di Dio e della sua gloriosa compagnia,
perché tanto più grave è una pena quanto priva l'uomo di un bene più grande e,
poiché Dio è il più grande dei beni, mancare di lui, sarà certamente il
maggiore dei mali.
Queste sono le pene che
generalmente toccano a tutti i condannati. Oltre a queste pene generali, ci sono
quelle particolari che ciascuno patirà in rapporto alla qualità del suo
delitto.
Una sarà infatti la pena del
superbo, una quella dell'invidioso, una quella dell'avaro, una quella del
lussurioso e così per tutti gli altri. La pena sarà in proporzione al diletto
ricavato dalla colpa e la mortificazione adeguata alla superbia, la indigenza
alla sfrenata opulenza e la fame e la sete alla dovizia e alla sazietà godute.
A tutte queste pene si
aggiunge l'eternità della sofferenza che ne è come il marchio e la chiave.
Tutto questo infatti sarebbe
anche tollerabile se avesse un fine, dal momento che nessuna cosa, se ha un
fine, è insopportabile.
Ma la sofferenza, che non ha
fine né sollievo, né declino né diminuzione, né speranza che possa mai cessare,
né che muti colui che la da e colui che la soffre, è come un esilio
irrevocabile, come un cilicio obbligato che non si può mai togliere; è cosa da
levar di senno colui che ci riflette attentamente.
Questa è dunque la più grande
delle pene che in quel luogo sventurato si patiscono. Se queste pene infatti
dovessero durare per qualche tempo determinato fosse pure di mille o di
centomila anni, o come dice un dottore della Chiesa, se ci fosse da attendere
che cessassero quando fosse esaurita tutta l'acqua dell'oceano traendone via
una goccia ogni mille anni, persino queste sarebbe un momento di conforto.
Ma non è così, perché le loro
pene corrispondono all’eternità di Dio e la durata della loro sventura alla
durata della sua divina gloria; finché Dio vivrà, essi saranno morti, quando
Dio cessasse di essere ciò che è, essi cesserebbero di essere ciò che sono. Su
questa durata, fratello mio, vorrei che fissassi la tua considerazione e che
riflettessi, su questo passo, ripetendo le parole del Vangelo in cui si
proclama quella eterna verità: Il cielo e
la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno (Mt
24, 35).
Sabato
In questo giorno penserai
Per comprendere qualcosa di
questo bene, devi considerare le cinque cose, che devi bene sapere:
l'eccellenza del luogo, la gioia della compagnia, la visione di Dio, la gloria
dei corpi e, infine, il compimento di ogni bene che lì si ritrova.
Considera in primo luogo
l'eccellenza del luogo e soprattutto la grandezza di ciò che devi ammirare,
perché, quando si legge in alcuni autorevoli scrittori che qualsiasi stella del
cielo è più grande di tutta la terra e che qualcuna di esse è di così
eccezionale grandezza da essere novanta volte più grande di essa, e si alzano
gli occhi al cielo e si vede una così grande moltitudine di stelle e tanti
spazi vuoti dove potrebbero starcene altrettante e ancora di più, come non
sgomentarsi? Come non restare attoniti e smarriti, considerando l'immensità di
quel luogo e, ancora di più, quella del sovrano Signore che lo creò?
La sua bellezza non si può
spiegare a parole, perché, se in questa valle di lacrime e luogo d'esilio Dio
creò cose così mirabili e di tanta bellezza, cosa avrà creato in quel luogo che
è trono della sua gloria, palazzo della sua maestà, casa dei suoi eletti e
paradiso di ogni diletto?
Oltre all'eccellenza del
luogo, pensa alla nobiltà di coloro che vi abitano, il cui numero, la cui
santità, le cui ricchezze e bellezze superano ogni umana immaginazione. San
Giovanni dice che tanta è la moltitudine
degli eletti che nessuno è capace di contarli (Ap
7, 9). San Dionigi dice che tanto grande
è il numero degli angeli che supera senza confronto quello di tutte le cose
materiali che sono sulla terra (Lib. Coelest. Hierarch, 9).
San Tommaso, condividendo
questa opinione, dice che, come la grandezza dei cieli supera senza confronto
quella della terra, così la moltitudine di quegli spiriti gloriosi supera
quella di tutte le cose materiali che sono in questo mondo.
Cosa può esserci dunque di
più meraviglioso?
Davvero, questa è una
considerazione che, a ben considerarla, basterebbe a lasciare attoniti tutti
gli uomini. E se ciascuno di quei beati spiriti (sia pure il minore) è più bello
da vedere di tutto questo mondo visibile, cosa sarà mai vedere un così grande
numero di spiriti tanto belli e vedere le perfezioni e i compiti di ciascuno di
loro?
Lì parlano gli angeli,
amministrano gli arcangeli, trionfano i principati, gioiscono le potestà,
dominano le dominazioni, risplendono le virtù, folgorano i troni, brillano i
cherubini e ardono i serafini e tutti cantano lode a Dio. Se la compagnia dei
buoni è così dolce e bella, che sarà mai essere insieme a tanti santi, parlare
con gli apostoli, conversare con i profeti, comunicare coi martiri e con tutti
gli eletti?
E se è così grande gloria
godere della compagnia dei buoni, che cosa sarà godere della compagnia e della
presenza di Colui che le stelle del mattino esaltano, della cui bellezza il
sole e la luna si stupiscono, davanti al cui merito si inginocchiano gli angeli
e tutti i più alti spiriti? Cosa sarà vedere quel bene universale in cui sono
tutti i beni e quel mondo nel quale sono contenuti tutti i mondi e Colui che,
essendo uno, è tutte le cose e, essendo semplicissimo, abbraccia le perfezioni
di tutte? Se tanto grande cosa fa udire e vedere il re Salomone che la regina
di Saba disse: "Beati coloro che si trovano innanzi a te e godono della tua sapienza"
(I Re 10, 8), cosa sarà vedere quel sommo Salomone, quell'eterna
sapienza, quell'infinita grandezza, quell'inestimabile bellezza, quell'immensa
bontà e godere di essa per sempre? Questa è la vera gloria dei santi, questo il
fine ultimo e il porto dei nostri desideri.
Considera, dopo di ciò, la
gloria di corpi che godranno di quelle quattro singolari doti che sono la
sottigliezza, la leggerezza, l'incorruttibilità e lo splendore, così grande
quest'ultimo che ciascuno di essi risplenderà come il sole nel regno del Padre
suo.
Se non più di un sole basta a
dar luce e gioia a tutto questo mondo, che effetto produrranno tanti soli che
splenderanno in quel luogo?
Che dirò poi di tutti gli
altri beni che ci sono? Lì ci sarà salute senza malattia, libertà senza
schiavitù, bellezza senza bruttezza, immortalità senza corruzione, abbondanza
senza bisogno, pace senza turbamento, sicurezza senza timore, conoscenza senza
errore, pienezza senza ripugnanza, gioia senza tristezza, gloria senza
ostilità. "Lì sarà, dice sant'Agostino, vera
la gloria e nessuno sarà lodato per errore o per lusinga. Lì sarà vero l'onore
che non si negherà al degno e non si concederà all'indegno. Lì sarà vera la
pace dove non si sarà molestati né da sé né da altri. Il premio della virtù
sarà lo stesso che la virtù diede e fu promesso per sua ricompensa, si vedrà in
eterno, si amerà senza noia e si loderà senza stanchezza. Lì il luogo è ampio,
bello, risplendente, sicuro, la compagnia gradita, il tempo immutabile, non
distinto in sera e mattina, ma continuato nell'eternità. Ci sarà un'estate
perpetua che la frescura e il soffio dello Spirito Santo faranno sempre
fiorire.
Lì tutti sono felici, cantano e lodano il Sommo Datore
di ogni cosa per la cui generosità vivono e regnano per sempre. O città
celeste, dimora sicura, terra dove si trova tutto ciò che diletta! Popolo senza
mormorazioni, prossimo, pacifico e uomini senza nessun assillo'.
Oh se questa ferita finisse! Oh se i giorni del mio esilio si concludessero!
Quando giungerà quel giorno? Quando verrò al cospetto del mio Dio?” (De Civitate Dei, Libro
22, cap. 30)
Domenica
In questo giorno penserai ai benefìci che ricevi da Dio per ringraziarne il Signore e
accenderti di maggior amore per chi ti fece tanto bene. Sebbene questi doni
siano innumerevoli, tu puoi almeno considerare questi cinque, la creazione, la
conservazione, la redenzione, la vocazione, con gli altri benefici particolari
e non evidenti.
In primo luogo, riguardo al
beneficio della creazione, pensa con molta attenzione ciò che eri prima di
essere creato e ciò che Dio fece con tè e ciò che ti diede prima di ogni tuo
merito:
questo corpo con tutte le tue
membra e i tuoi sensi e l'anima così eccellente con le sue grandi possibilità:
intelletto, memoria e volontà. E bada bene che darti tale anima ha significato
darti tutte le cose, poiché non c'è alcuna perfezione in nessuna creatura che
l'uomo a suo modo non abbia, dal che risulta che darci questo solo elemento ha
voluto dire darci insieme tutto. Riguardo al dono della tua conservazione,
guarda quanto tutto il tuo essere sia legato alla provvidenza divina, come non
vivresti un attimo, ne’ faresti un passo se non fosse per lui, come abbia
creato tutte le cose per la tua utilità, il mare, la terra, gli uccelli, i
pesci, gli animali, le piante, persino gli angeli del cielo.
Pensa alla salute che ti
concede, alle forze, alla vita, al sostentamento con tutti gli altri aiuti
temporali. Oltre a tutto ciò, pensa alla miseria e alle sventure in cui ogni
giorno vedi cadere gli altri uomini e nelle quali tu pure saresti potuto cadere
se Dio, per sua pietà, non te ne’ avesse preservato.
Quanto al dono della
redenzione, puoi considerare due cose: la prima, quanti e quanto grandi siano i
beni che ci ha dato mediante il dono della redenzione, la seconda quanti e
quanto grandi siano stati i mali che patì nel suo corpo e nella sua santissima
anima per ottenerci questi beni. Per capire di più ciò che devi a questo
Signore per ciò che ha patito per te, puoi meditare queste quattro circostanze
che conviene conoscere nel mistero della sua sacra passione: chi soffre, cosa soffre, per chi soffre e
per quale causa soffre.
Chi soffre? Dio. Cosa soffre?
I più grandi tormenti ed oltraggi che mai furono sofferti. Per chi soffre? Per
creature infernali e abominevoli simili, nell'operare, ai demoni stessi. Per
quale causa soffre? Non per suo vantaggio e neppure per nostro merito, bensì
per l'intima forza della sua infinita carità e misericordia.
Quanto al dono della
vocazione, pensa prima di tutto quale grande misericordia fu da parte di Dio
farti cristiano, chiamarti alla fede per mezzo del battesimo e farti anche
partecipe degli altri sacramenti.
E se, dopo questa chiamata,
perduta la tua innocenza, ti ha tolto dal peccato, riportato alla sua grazia,
ritornato allo stato di salvezza, come potrai abbastanza lodarlo di questo
dono? Che grande misericordia fu aspettarti per tanto tempo, sopportare tanti
peccati e mandarti tante ispirazioni e non tagliarti il filo della vita, come
fu tagliato ad altri nelle stesse condizioni e, infine, richiamarti con grazia
tanto potente da resuscitarti da morte a vita e da aprirti gli occhi alla luce!
Che misericordia fu, dopo averti convertito, darti la grazia per non tornare al
peccato, vincere il nemico e perseverare nel bene! Questi sono i doni evidenti
e conosciuti: ce ne sono altri segreti che conosce solo quello che li ha
ricevuti e altri ancora tanto segreti che non li conosce neppure quello che li
ha ricevuti, bensì solo quello che li ha donati. Quante volte avrai meritato
per la tua negligenza o superbia o ingratitudine che Dio t'abbandonasse, come
ha abbandonato altri per la stessa causa, e non lo ha fatto! Quanti mali od
occasioni di male avrà prevenuto il Signore con la sua provvidenza, disfacendo
le reti del nemico, tagliandogli la strada e non realizzando le sue azioni e i
suoi consigli! Quante volte avrà agito con ciascuno di noi nel modo che disse a
san Pietro: "Guarda che satana aveva
ottenuto di vagliarvi tutti come il grano, ma io ho pregato per te, perché non
venga meno la tua fede" (Lc 22, 31). Chi
dunque può conoscere questi segreti se non Dio?
Questi sono i benefìci conosciuti, ma ci sono quelli nascosti. Per questi come per gli altri, è giusto che ringraziarne sempre il Signore e che comprendiamo di quanto siamo debitori; quanto è di più ciò che dobbiamo di quanto possiamo pagare non lo possiamo infatti neppure comprendere.
capitolo terzo
Queste sono, lettore
cristiano, le prime sette meditazioni che tu puoi prendere in esame e su cui
puoi occupare il tuo pensiero nei vari giorni della settimana, non perché tu
non possa pensare ad altre in altri giorni, poiché, come abbiamo detto,
qualunque cosa induce il nostro cuore all'amore e timor di Dio e all'osservanza
dei suoi comandamenti è materia di meditazione. Si raccomandano però questi
temi che ho nominato, primo perché sono i principali misteri della fede e
quelli che maggiormente stimolano a ciò che si è detto, poi perché i
principianti (che hanno ancora bisogno, per così dire, di latte) trovano qui
già masticati e digeriti i pensieri da meditare, affinché non vadano come
pellegrini in terra straniera, percorrendo luoghi incerti, prendendo una cosa e
un'altra lasciandone, senza avere la certezza in nessuna.
Devi anche sapere che le
meditazioni di questa settimana sono molto opportune, come abbiamo già detto,
all'inizio della conversione, cioè quando l'uomo ritorna a Dio, poiché allora
bisogna cominciare dalle meditazioni che possano suscitare dolore e odio del
peccato, timor di Dio e disprezzo del mondo, che sono i primi passi di questo
cammino.
E, per questo, coloro che
cominciano debbono perseverare per qualche tempo nella riflessione di questi princìpi per radicarsi maggiormente nelle virtù e nei
sentimenti che abbiamo detto.
capitolo quarto
LE ALTRE SETTE MEDITAZIONI DELLA SACRA PASSIONE E IL
MODO IN CUI DOBBIAMO MEDITARLA
A queste seguono le altre sette meditazioni della sacra passione, resurrezione e ascensione di Cristo, a cui si potranno aggiungere gli altri momenti principali della sua santissima vita.
Bisogna notare che nella
passione di Cristo si debbono meditare sei punti: la grandezza dei suoi dolori,
per soffrire di essi, la gravità del nostro peccato, che ne è la causa, per
aborrirlo, la grandezza del beneficio per esserne grati, l'eccellenza della divina
bontà e carità che lì si rivela, per amarla, l'utilità del mistero per
meravigliarsene, la moltitudine delle virtù di Cristo che vi risplendono per
imitarle. In conformità a ciò, durante la meditazione, dovremo inclinare il
nostro cuore alla compassione dei dolori di Cristo, che furono i più grandi del
mondo sia per la delicatezza del suo corpo, sia per la grandezza del suo amore,
sia anche perché ha sofferto senza essere in nessun modo consolato, come sarà
più avanti mostrato. Altre volte dovremo fare attenzione a trarre da qui motivo
di dolore dei nostri peccati, tenendo conto che essi furono la causa dei tanti
e tanto gravi dolori che egli patì. Altre volte dovremo trarre da questa
meditazione motivi di amore e di gratitudine considerando la grandezza
dell'amore che egli ci mostrò e la grandezza dei doni che ci fece con la
redenzione così generosamente, con tanto sacrificio suo e tanto vantaggio
nostro.
Altre volte dovremo sollevare
gli occhi a pensare all'utilità del mezzo che Dio usò per curare la nostra
miseria, cioè per far fronte ai nostri debiti, soccorrere le nostre necessità,
meritarci la sua grazia, umiliare la nostra superbia e indurci al disprezzo del
mondo, all'amore della croce, della povertà, delle difficoltà, delle ingiurie e
di tutte le altre tribolazioni che sono frutto della virtù e che ci rendono
onore.
Altre volte dovremo fissare
gli occhi sugli esempi di virtù che risplendono nella sua santissima vita e
morte, nella sua mansuetudine, pazienza, obbedienza, misericordia, povertà, rigore,
carità, umiltà, benignità, modestia e in tutte le altre virtù che risplendono
nelle sue opere e parole più delle stelle del cielo, per imitare qualcosa di
ciò che vediamo in lui, per non tenere in ozio lo spirito e la grazia che da
lui abbiamo ricevuto e per andare a lui per mezzo di lui. Questa è la più alta
e proficua maniera di meditare la passione di Cristo, attraverso l'imitazione,
poiché dall'imitazione si giunge alla trasformazione e possiamo quindi dire con
l'apostolo: "Non sono più io che vivo,
ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20).
Oltre a ciò, bisogna in tutti
questi momenti avere Cristo presente davanti agli occhi e far conto di averlo
davanti a noi nella sua sofferenza, tenere presente non solo la storia della
sua passione, bensì anche questi quattro quesiti: Chi soffre? Per chi soffre?
Come soffre? Per quale causa soffre? Chi soffre? Dio onnipotente, infinito,
immenso ecc. Per chi soffre? Per la più ingrata e infima creatura del mondo.
Come soffre? Con grandissima umiltà, carità, benignità, mansuetudine,
misericordia, pazienza, modestia ecc. Per quale causa soffre? Non certo per
alcun suo vantaggio né nostro merito, bensì solo per la profondità della sua
infinita pietà e misericordia. Dopo di ciò, non ci si contenti di contemplare
la sofferenza fisica, bensì soprattutto la sofferenza interiore, poiché c'è
molto più da meditare sull'anima che sul corpo di Cristo, sia per quanto ha
patito dei suoi dolori, sia per tutti i sentimenti e riflessioni che la
addoloravano.
Premesso, quindi, questo
piccolo preambolo, cominciamo a percorrere con ordine i misteri di questa Sacra
Passione.
Proseguono le altre sette
meditazioni della Sacra Passione
Lunedì
In questo giorno, fatto il
segno della Croce, con la preparazione che la precede, si deve pensare alla lavanda
dei piedi all'istituzione del Santissimo Sacramento.
Pensa dunque, anima mia, a
questa cena, al tuo dolce benigno Gesù e guarda l'esempio inestimabile di
umiltà che i offre alzandosi da tavola e lavando i piedi ai suoi discepoli. Oh,
buon Gesù! Cosa fai? O dolce Gesù, perché tanto si umilia la tua maestà?
Cosa proveresti, anima mia,
se vedessi Dio inginocchiato dinanzi ai piedi degli uomini, dinanzi ai piedi di
Giuda?
O insensibile! Come non ti
intenerisce questa grande umiltà? Come non ti spezza il cuore questa grande
mansuetudine? È possibile che tu abbia ordinato di vendere questo Agnello
mansueto? È possibile che non ti abbia commosso con questo esempio?
O mani bianche e belle, come
avete potuto toccare piedi così sporchi e abominevoli? O mani purissime, come
non avete avuto ribrezzo di lavare i piedi infangati sulle strade e cosparsi
del vostro sangue? O apostoli beati! È possibile che non tremiate vedendo
simile umiltà? Pietro, cosa fai? Acconsentiresti dunque che il Signore della
maestà ti lavasse i piedi? Meravigliato e attonito, san Pietro, non appena vide
il Signore inginocchiato innanzi a sé cominciò a dire: Tu, o Signore, lavi a me i piedi? (Gv 13,
6). Non sei il figlio del Dio vivo? Non sei tu il creatore del mondo, la
bellezza del cielo, il paradiso degli angeli, la salvezza degli uomini, lo
splendore della gloria, la fonte della più alta sapienza di Dio?
E vuoi tu, dunque, lavarmi i
piedi? Tu, Signore di tanta maestà e gloria, vuoi dedicarti a un compito così
umile?
Pensa anche che, finita la
lavanda dei piedi, li asciugò col panno di cui si era cinto; innalzati con gli
occhi dell'anima e vedrai raffigurato il mistero della nostra redenzione.
Guarda come in quel panno
raccolse l'impurità dei piedi sporchi così che essi restarono puliti e il panno
macchiato e sporco.
Che cosa c'è di più sporco
dell'uomo concepito nel peccato e che cosa di più limpido e bello di Cristo
concepito da Spirito Santo?
Bianco e vermiglio è il mio
amato, dice la sposa, ed eletto tra migliaia (Ct 5,
10). Eppure egli, così bello e puro, volle raccogliere su di sé tutte le
macchie e le brutture delle nostre anime lasciandole pure e libere da esse e
restandone lui stesso (come puoi vedere) sulla croce macchiato e deturpato.
Considera infine le parole
con cui il Salvatore pose fine a questa storia dicendo: Vi ho dato l'esempio
perché, come io ho fatto, anche voi facciate (Gv 13,
5).
Queste parole non debbono
essere riferite solo a questo momento e a questo esempio di umiltà, ma anche a
tutte le opere e alla vita di Cristo, poiché essa è un modello perfetto di
tutte le virtù, soprattutto di quella che ci si presenta in questo luogo.
L'istituzione del Santissimo
Sacramento.
Per capire qualcosa di questo
mistero, devi presupporre che nessuna lingua creata può esprimere la grandezza
dell'amore che Cristo ha per la sua sposa, la Chiesa e, di conseguenza, per
ciascuna delle anime che sono in grazia di Dio, perché anche ciascuna di esse è
sua sposa. Volendo dunque questo sposo dolcissimo uscire da questa vita e
allontanarsi dalla sua sposa, la Chiesa (perché quest'assenza non fosse per lei
causa di oblio) le lasciò il memoriale di questo Santissimo Sacramento (in cui
restava lui stesso), non volendo che fra sé e lei ci fosse altro segno, se non
lui stesso, a tener viva la sua memoria.
Voleva anche lo sposo, in una
così lunga assenza, lasciare compagnia alla sua sposa, perché non restasse sola
e le lasciò quella del Sacramento dove lui stesso si trova e che è la migliore
compagnia che potesse lasciarle.
Voleva allora andare ad
affrontare la morte per la sua sposa e riscattarla e arricchirla col prezzo del
suo sangue. E, perché essa potesse a sua volontà godere di questo tesoro,
gliene lasciò le chiavi in questo Sacramento, perché, come dice san Crisostomo,
tutte le volte che giungiamo ad esso, dobbiamo pensare che poniamo le labbra
sul costato di Cristo e beviamo il suo prezioso
sangue e ce ne facciamo partecipi (Omelia
Desiderava altresì, questo
sposo celeste, essere amato dalla sua sposa con grande amore e per questo stabilì
il misterioso cibo, consacrato con tali parole che, chi lo riceve degnamente, è
subito toccato e colpito da questo amore.
Voleva inoltre rassicurarla e
darle pegno di quella beata eredità di gloria perché, con la speranza di questo
bene, potesse affrontare serenamente tutte le tribolazioni e le asprezze di
questa vita. Perché poi la sposa avesse certa e sicura speranza di questo bene,
le lasciò in pegno questo ineffabile tesoro che vale tanto quanto tutto ciò che
di là si attende, perché non perdesse la fiducia che Dio le si sarebbe dato in
quella gloria là dove vivrà nello spirito, dal momento che non le si è negato
in questa valle di lacrime dove vive nella carne.
Voleva inoltre, nell'ora
della sua morte, fare testamento e lasciare alla sua sposa un legato per la sua
salvezza e le lasciò questo, che era il più prezioso e il più utile che le
potesse lasciare, poiché in esso le è lasciato Dio. Voleva infine lasciare alle
nostre anime sufficiente alimento per vivere, poiché l'anima non ha minor
bisogno di alimento per vivere la vita spirituale di quanto il corpo non abbia
bisogno del suo per vivere la vita fisica. Perciò stabilì questo così saggio
medico (che aveva già sentito il polso della nostra debolezza) questo
Sacramento e lo stabilì in forma di alimento, perché la specie stessa in cui lo
istituì ci rivelasse l'effetto che produceva e la necessità che ne avevano le
nostre anime, non minore certo di quella che hanno i corpi del loro proprio
cibo.
Martedì
In questo giorno penserai
all'orazione nell'orto e alla passione del Salvatore e all'entrata e al
confronto nella casa di Anna.
Pensa quindi, innanzitutto,
come, terminata quella misteriosa cena, il Signore andò coi suoi discepoli sul
monte Oliveto a pregare prima di affrontare la dura prova della sua passione,
per insegnarci che, in tutte le fatiche e tentazioni di questa vita, dobbiamo
ricorrere sempre alla preghiera come ad un'ancora sacra, in forza della quale o
ci sarà tolto il peso della tribolazione o ci saranno date le forze per
sopportarlo, il che è una grazia anche più grande. Per sua compagnia in questo
cammino, prese con sé quei tre amati discepoli san Pietro, san Giacomo e san
Giovanni (Mt 17, 1), che erano stati testimoni della
sua gloriosa trasfigurazione, perché proprio loro vedessero che diverso aspetto
assumeva ora, per amore degli uomini, lui che tanto glorioso si era mostrato in
quella visione. E, perché capissero che gl'intimi travagli della sua anima non
erano meno gravi di quelli che cominciava a manifestare nel corpo, disse loro quelle
così dolorose parole: La mia anima è triste fino alla morte. Aspettatemi qui e
vegliate con me (Mt 26, 38). Pronunciate queste
parole, il Signore si allontanò dai discepoli un tiro di sasso e, prostrato a
terra, cominciò la sua orazione dicendo: Padre, se è possibile, allontana da me
questo calice, però non si faccia la mia volontà ma la tua (Mt
26, 39). E, fatta tre volte questa preghiera, alla terza entrò in così grande
agonia che cominciò a trasudare gocce di sangue, che scorrevano per il suo
santo corpo, filo a filo fino a cadere a terra. Medita dunque su questo momento
di dolore del Signore e guarda come, avendo davanti a sé tutti i tormenti che
avrebbe dovuto patire, comprendendo perfettamente i dolori tanto crudeli che si
preparavano per il più delicato dei corpi e presentandoglisi
davanti tutti i peccati del mondo per i quali soffriva e l'ingratitudine di
tante anime che non avrebbero compreso questo dono ne’ avrebbero tratto
profitto da tanto grande e doloroso soccorso, la sua anima fu piena di angoscia
e la sua fragile carne e i suoi sensi furono così sconvolti che tutte le forze
e gli elementi del suo corpo si scomposero e la carne benedetta si aprì da ogni
parte e fece scorrere da essa il sangue con tanta abbondanza da bagnare la
terra.
E se la carne, che solo
indirettamente pativa questi dolori, era in queste condizioni, come sarà stata
l'anima che li pativa direttamente?
Pensa poi come, avendo egli
terminata l'orazione, raggiunse quell'infernale
compagnia, quel falso amico che aveva rinunciato al suo ruolo di apostolo ed
era divenuto guida e capitano dell'esercito di satana. Pensa quanto
sfrontatamente si fece avanti fra tutti e, quando il buon maestro giunse, lo
vendette col bacio di un falso saluto di pace. In quel momento il Signore disse
a coloro che lo venivano a prendere: Siete venuti da me come ladroni con spade
e lance, mentre, quando io stavo con voi ogni giorno nel tempio, non stendeste
la mano sopra di me; ma questa è la vostra ora e il potere delle tenebre (Mt 26, 55). È questo un mistero su cui si deve molto
riflettere.
Cosa può dare maggiore
sgomento che vedere il Figlio di Dio prendere l'aspetto non solo di peccatore,
bensì addirittura di condannato?
Questa, egli dice, è la
vostra ora e il potere delle tenebre.
Da queste parole si capisce
che in quell'ora fu consegnato l'innocentissimo
Agnello al potere dei principi delle tenebre, cioè ai demoni affinché, per
mezzo dei loro ministri, infierissero su di lui con tutte le torture e le
crudeltà che volevano.
Pensa tu ora, dunque, fino a
che punto si abbassò quella Altezza divina per causa tua, giungendo all'estremo
di tutti i mali, cioè ad essere consegnata al potere dei demoni. E poiché la
pena che i tuoi peccati meritavano era questa, egli volle ad essa sottoporsi
perché tu ne restassi libero.
Dopo queste parole, tutto
quel branco di lupi affamati si scagliò su quell'Agnello
mansueto strappandolo, come potevano, chi da una parte chi dall'altra.
Oh, quanto disumanamente lo
avranno trattato, quante cattiverie gli avranno detto, quanti colpi e strattoni
gli avranno dato, quante grida e insulti avranno gettato, come fanno di solito
i vincitori quando si sentono già in mano il bottino! Afferrano quelle sante
mani che solo poco prima avevano compiuto tante meraviglie e lo legano con
lacci scorsoi così strettamente da strappargli la pelle delle braccia e da
fargli uscire il sangue e, così legato, lo trascinano per la pubblica via con
grande ignominia.
Guardalo bene come avanza per
questa strada, abbandonato dai suoi discepoli, accompagnato dai suoi nemici, il
passo affrettato, il respiro affannoso, il colore mutato, il volto acceso e
arrossato per la fatica del cammino.
E contempla, in così duro
trattamento della sua persona, la misura del suo volto, la gravità del suo
sguardo e quel divino sembiante che, pur in mezzo a tutte le violenze del
mondo, non riesce ad essere oscurato.
Puoi andare quindi con il
Signore alla casa di Anna per vedere come, mentre egli cortesemente rispondeva
alla domanda che il sommo sacerdote gli rivolgeva sui suoi discepoli e sulla
sua dottrina, uno dei malvagi lì presenti gli diede una grande percossa,
dicendo: Così si risponde al sommo sacerdote? Allora il Salvatore dolcemente
rispose: Se ho risposto male, mostrami dove e se bene, perché mi colpisci? (Gv 18, 22-23). Guarda poi ora, anima mia, non solo la
mansuetudine di questa risposta, ma anche quel volto divino segnato e arrossato
dalla forza del colpo e la calma di quegli occhi tanto sereni e senza
turbamento durante l'affronto e quell'anima
santissima intimamente così umile e disposta a volgere l'altra guancia, se il
carnefice lo richiedesse.
Mercoledì
In questi giorni penserai
alla presentazione del Signore davanti al sommo sacerdote Caifa,
alle tribolazioni di quella notte, al rinnegamento di Pietro e alle percosse
presso la colonna.
Considera innanzitutto come
dalla prima casa di Anna il Signore fu portato a quella del sommo sacerdote Caifa, dove tu devi accompagnarlo.
Qui vedrai eclissato quel
sole di giustizia e offeso da sputi quel volto divino che gli angeli desiderano
contemplare. Perché, quando il Salvatore, scongiurato in nome del Padre di dire
chi era, rispose a questa domanda ciò che a lui conveniva, coloro che erano
indegni di così alta risposta, accecati dallo splendore di così grande luce, si
volsero contro di lui come cani rabbiosi e su di lui scaricarono tutta la loro
ira e rabbia.
Lì tutti, a gara, gli danno
colpi e schiaffi, con le loro bocche infernali sputano su quel volto divino,
gli coprono gli occhi con un panno, lo percuotono sul viso e si prendono gioco
di lui dicendo: "Indovina chi ti ha
percosso" (Mt 26, 68 e Lc
22, 64).
O meravigliosa umiltà e pazienza del figlio di Dio! O bellezza degli angeli!
Era quello un volto su cui sputare? Gli uomini quando vogliono sputare, voltano
la faccia all'angolo più oscuro e in tutto quel palazzo non si trovò dunque
luogo più oscuro del suo volto? Come non ti senti umiliato, tu che sei terra e
cenere, da questo esempio?
Dopo di ciò, medita sulle
sofferenze che il Salvatore affrontò in tutta quella dolorosa notte, perché i
soldati che lo custodivano lo schernivano (come dice san Luca) e, per vincere
il sonno della notte, non trovarono di meglio che deridere il Signore della
divina maestà. Guarda dunque, anima mia, come il tuo dolcissimo sposo è esposto
come un bersaglio alle frecce di tanti colpi e percosse che gli infliggono. O
notte crudele! O notte senza pace, nella quale, mio buon Gesù, tu non dormivi e
non dormivano coloro che avevano scelto per loro divertimento di tormentarti.
La notte fu creata perché in essa tutte le creature si riposino e i sensi e le
membra, stanchi del lavoro della giornata, recuperino le forze; ora i malvagi
scelgono la notte per tormentare le tue membra e i tuoi sensi, ferendo il tuo
corpo, affliggendo la tua anima, legando le tue mani, schiaffeggiando il tuo
volto, riempiendolo di sputi, tormentando le tue braccia, perché nel tempo in
cui tutte le membra sono solite giacere in riposo, tutte in te soffrissero e
patissero. Che mattutini diversi da quelli, in quell'ora,
ti avrebbero cantato i cori degli angeli nel cielo!
Lì dicono: Santo, Santo; qui:
muoia, muoia, crucifige, crucifige. O
angeli del paradiso, che udite le une e le altre voci! Che cosa avete provato
vedendo così maltrattato sulla terra colui che voi trattate in cielo con tanta
riverenza? Che cosa avete provato vedendo che Dio pativa tali offese proprio
per coloro che gliele infliggevano? Chi ha mai visto una tal forma di carità,
che porta ad affrontare la morte per liberare dalla morte colui stesso che la
dà?
Le sofferenze di quella notte
dolorosa crebbero con il rinnegamento di san Pietro, quel così intimo amico che
era stato scelto per vedere la gloria della Trasfigurazione, che era stato
onorato fra tutti col primato nella Chiesa, quello che era primo fra tutti e
che non una ma tre volte, in presenza del Signore stesso, giura e spergiura di
non conoscerlo, di non sapere chi sia. Oh, Pietro, è dunque questo un uomo così
malvagio che ti vergogni persino di ammettere di averlo conosciuto? Guarda che
questo significa che tu, primo dei Pontefici, lo condanni, facendo comprendere
che egli sia persona tale da sentirsi disonorato di conoscerlo.
Quale offesa può essere più
grande di questa? Si valse allora il Salvatore e guardò Pietro (Lc 22, 61). Gli occhi seguono quella pecorella smarrita. O
sguardo di meravigliosa virtù! O sguardo silenzioso, ma grandemente
significativo! Pietro ben comprese il linguaggio e la voce di quello sguardo,
poiché quella del gallo non riuscì a svegliarlo e questo sì. Gli occhi di
Cristo non solo parlano, ma operano, come dimostrano le lacrime di Pietro, che
non escono tanto dagli occhi di Pietro quanto da quelli stessi di Cristo.
Dopo tutte queste offese,
pensa alle percosse che il Salvatore sopportò alla colonna; perché il giudice,
visto che non poteva placare la furia di quelle belve infernali, decise di
sottoporlo a quella ben nota tortura, per vedere se fosse sufficiente a placare
la rabbia di quei cuori crudeli, così che, appagati, cessassero di chiederne la
morte.
Entra, dunque, ora, anima
mia, con lo spirito nel pretorio di Pilato e porta
con te le lacrime che ti saranno necessario per quello che lì vedrai e udrai.
Guarda come quei carnefici
vili e feroci spogliano con tanta ferocia il Salvatore delle sue vesti e come
egli se ne lascia spogliare con tanta umiltà senza aprire la bocca ne’
rispondere neppure una parola alle
insolenze che gli lanciano. Guarda poi come legano quel santo corpo alla
colonna per poterlo ferire a loro piacere dove e come vogliono. Guarda come era
solo il Signore degli angeli tra così crudeli carnefici, senza avere in sua
difesa né padrini né difensori che agissero in suo favore, né occhi che
esprimessero compassione per lui. Guarda poi come cominciano con grandissima
crudeltà a scagliare le loro fruste e le loro sferze su quelle delicatissime
carni e come si aggiungono percosse a percosse, piaghe a piaghe, ferite a
ferite. Vedrai poi coprirsi quel santissimo corpo di lividi, lacerarsi la
pelle, uscire e scorrere da ogni parte il sangue. Ma, oltre tutto ciò, che
spettacolo atroce quella così grande piaga aperta fra le spalle dove battevano
tutti i colpi!
Pensa poi, terminate le
percosse, come il Signore si sarà ricoperto e sarà andato per tutto il
pretorio, cercando le sue vesti, in presenza di quei crudeli carnefici, senza
che nessuno gli prestasse aiuto o soccorso ne’ gli desse uno di quei lavacri e
refrigeri che si danno a coloro che restano feriti. Tutte questa sono cose
degne di compassione, gratitudine, meditazione.
Giovedì
In questo giorno devi pensare
all'incoronazione di spine, all'Ecce homo e a come il Salvatore portò la croce
sulle spalle.
A meditare questi momenti
tanto dolorosi ci invita la sposa nel Cantico dei Cantici con queste parole: Venite, figlie di Sion e guardate il re
Salomone con la corona che gli dette sua madre nel giorno delle sue nozze, nel
giorno della gioia del suo cuore (Ct 3, 11).
O anima mia, che fai? O mio
cuore, a cosa pensi? O mia lingua, come ti sei ammutolita! O mio dolcissimo
Salvatore, quando apro gli occhi e guardo il quadro tanto doloroso che mi si
presenta, il cuore mi si spezza dal dolore. Non bastavano dunque, Signore, le
percosse già subite, la morte imminente, il tanto sangue sparso? Dovevano
proprio le spine trar sangue dalla testa che le
percosse avevano risparmiato?
Per patire di questo momento
tanto doloroso, anima mia, poniti innanzitutto davanti agli occhi l'antica
immagine del Signore e la grandezza delle sue virtù e poi torna a guardare in
che condizioni si trova. Guarda com'è grande la sua bellezza, sereni i suoi
occhi, dolci le sue parole, guarda la sua autorità, la sua mansuetudine, la sua
serenità e quel suo nobile aspetto degno di venerazione.
Dopo averlo guardato e aver
goduto della vista di una così perfetta figura, volgi di nuovo gli occhi a
guardarlo come ora lo vedi, coperto del dileggio di quella porpora, con la
canna in mano a guisa di scettro, l'orribile diadema sul capo, gli occhi
morenti e il volto già morto e tutta la figura coperta di sangue e abbruttita
dalla bava che si stendeva su tutto il suo volto.
Guardalo tutto, dentro e
fuori, il cuore trafitto dal dolore, il corpo coperto di piaghe, abbandonato
dai suoi discepoli, perseguitato dagli ebrei, schernito dai soldati,
disprezzato dai sacerdoti, respinto dall'iniquo re, accusato ingiustamente e
privo di ogni aiuto umano. Non pensare a ciò come ad una cosa passata, bensì
come ad una cosa attuale, non come ad una sofferenza altrui, ma come ad una tua
propria. Mettiti tu al posto di chi soffre e pensa cosa proveresti se in una
parte così sensibile come la testa ti ficcassero molte ed acutissime spine che
ti penetrassero fino all'osso. Ma che dico? Spine? Una sola trafittura di
spillo riusciresti appena a sopportarla. Che cosa avrà dunque sofferto quella
delicatissima testa con questa corona di tormenti?
Terminata l'incoronazione e
gli scherni del Salvatore, il giudice lo prese per mano così conciato com'era
e, traendolo alla vista del popolo furioso, disse: Ecce homo (Gv 19, 5). Come se dicesse: Se
volevate dargli la morte per invidia, vedetelo qui in condizioni da non suscitare
invidia ma compassione. Temevate che si facesse re, vedetelo qui così sfigurato
da sembrare a stento un uomo. Da queste mani legate cosa temete? Da quest'uomo
distrutto cos'altro volete?
Puoi comprendere ora, anima
mia, in che stato era allora il Salvatore, dal momento che il giudice credette che bastasse il suo aspetto per muovere il cuore
di così duri nemici. Da ciò puoi ben capire che cattiva cosa sia che un
cristiano non abbia compassione dei dolori di Cristo, dal momento che erano
tali da bastare, come credette il giudice, a
raddolcire cuori tanto crudeli.
Quando poi Pilato vide che non erano sufficienti le torture che si
erano inflitte a quel santissimo Agnello per ammansire il furore dei suoi
nemici, entrò nel pretorio e si sedette in tribunale per dar l'ultima sentenza
in quella causa. Già era alle porte preparata la croce, già sollevata in alto
quella terribile bandiera che minacciava la testa del Salvatore. Data ed
emessa, quindi, la sentenza crudele, i nemici aggiungono una crudeltà all'altra,
caricando su quelle spalle tanto pestate e tormentate dalle passate percosse,
il legno della croce. Non rifiutò il pietoso Signore questo peso in cui erano
tutti i nostri peccati, l'abbracciò anzi, per amor nostro, con somma carità ed
obbedienza.
Cammina, dunque, l'innocente
Isacco al luogo del sacrificio con quel peso tanto grave sulle sue spalle tanto
deboli, e molta gente e molte donne pietose lo seguono e lo accompagnano con le
loro lacrime. Chi non avrebbe dovuto spargere lacrime, vedendo il Re degli
angeli camminare passo per passo con quel terribile peso, le ginocchia
tremanti, il corpo ricurvo, gli occhi sereni, il volto insanguinato, quella
corona sul capo e così vergognosi clamori ed insulti contro di lui?
Frattanto, anima mia,
distogli un poco lo sguardo da questo crudele spettacolo e, con passi
affrettati, gemiti di dolore, occhi pieni di lacrime, vai verso la casa della
Vergine e, quando vi giungerai, prostrata ai suoi piedi, comincia a dirle con
voce di dolore: "O Signora degli
angeli, regina del cielo, porta del paradiso, avvocata del mondo, rifugio dei
peccatori, salvezza dei giusti, gioia dei santi, maestra delle virtù, specchio
di purezza, esempio di castità, modello di pazienza e somma di ogni perfezione!
Ahimè, mia Signora, perché la mia vista si è conservata fino ad ora? Come posso
io vivere avendo visto quello che ho visto? A che servono altre parole? Lascio
il tuo figlio unigenito e mio Signore nelle mani dei miei amici, con una croce
sulle spalle, per essere tratto a morte".
Che senso può avere qui
stabilire fino a che punto giunse questo dolore della Vergine? La sua anima
venne meno, il volto e le sue membra virginee si coprirono di un sudore di
morte che sarebbe bastato a stroncare la sua vita se la provvidenza divina non
l'avesse preservata per maggiore dolore e maggior gloria.
Cammina, dunque, la Vergine
in cerca del figlio, il desiderio le da le forze che il dolore le toglie. Sente
da lontano il rumore delle armi, il gruppo della gente, il clamore della folla
che già lo circonda.
Vede poi risplendere il ferro
delle lance e delle alabarde che si elevavano in alto, vede sulla strada le
gocce di sangue che le indicano la strada del figlio e la guidano senza bisogno
di guida.
Si avvicina sempre di più al
suo amato figliolo e tende gli occhi oscurati dal dolore e l'ombra della morte
per vedere (se ci riesce) colui che tanto amava la sua anima. O amore e timore
del cuore di Maria! Da una parte ardeva di vederlo e dall'altra rifiutava di
vedere la sua figura tanto degna di pietà. Giunge infine dove lo poteva vedere
e quelle due luci del cielo si guardano l'un l'altra, si attraversano il cuore
con lo sguardo e si feriscono con l'aspetto l'anima impietosita. Le lingue
erano mute, ma il cuore della madre parlava e il dolcissimo figlio diceva: "Perché sei venuta qui, mia colomba,
mia amata e Madre mia? Il tuo dolore aumenta il mio e i tuoi tormenti mi
tormentano. Ritorna Madre mia, ritorna alla tua dimora, che non si confà al tuo
pudore e purezza verginale questa compagnia di ladroni e di omicidi".
Queste e altre pietose parole
si saranno detti quei cuori impietositi e in questo modo si svolse fino al
luogo della croce quella strada di dolore.
Venerdì
In questo giorno si devono
meditare il mistero della croce e le sette frasi che il Signore pronunciò.
Destati dunque, anima mia, e
comincia a pensare al mistero della santa croce, il cui frutto risanò il male
del velenoso frutto dell'albero vietato. Guarda in primo luogo come, giunto il
Salvatore a quel luogo, quei perversi nemici (perché la sua morte fosse più
vergognosa) lo spogliano di tutte le sue vesti fino alla tunica intima che era inconsutile. Guarda dunque con quanta mansuetudine si
lascia spogliare quel santissimo Agnello senza aprir bocca né proferii parola
contro coloro che così lo trattavano.
Con buona volontà consentiva
di farsi spogliare delle sue vesti e di restare ignominiosamente ignudo perché
di quelle vesti, meglio che con le foglie di fico, si ricoprisse la nudità in
cui cademmo col peccato originale.
Alcuni padri della Chiesa dicono
che, per togliere al Signore quella tunica, gli tolsero crudelmente la corona
di spine che aveva sul capo e poi, dopo che era spogliato, tornarono a
rimettergliela e a conficcargli di nuovo le spine sulla fronte, facendolo di
nuovo grandemente soffrire. E bisogna credere, certo, che avranno usato questa
crudeltà coloro che molte altre e terribili ne avevano usate nei suoi riguardi
durante tutto il processo della sua passione, tanto più che l'evangelista dice
che fecero di lui quello che volevano. E poiché la tunica era attaccata alle
piaghe prodotte dalle percosse e il sangue era già rappreso e appiccicato alla
veste, quei malvagi tanto incapaci di pietà, lo spogliarono togliendogliela di
colpo e riaprendo tutte le piaghe delle percosse, in modo che il santo corpo fu
aperto e come scorticato e trasformato in una grande piaga che gettava sangue
da ogni parte.
Considera dunque, qui, anima
mia, la divina bontà e misericordia che in questo mistero così chiaramente
risplende, guarda come colui che rivestì il cielo di nubi e i campi di fiori e
di bellezza, sia qui spogliato di tutte le sue vesti. Pensa a quanto freddo
avrà patito quel santo corpo che era straziato e ignudo, privo non solo delle
sue vesti, ma anche della sua pelle, con tante piaghe aperte su tutto il corpo.
E se Pietro che aveva veste e calzari, la notte prima aveva avuto freddo,
quanto di più ne avrà avuto quel delicatissimo corpo così ferito e senza
riparo!
Dopo di ciò, pensa a come il
Signore fu inchiodato alla croce e al dolore che avrà sofferto quando quei
chiodi grossi e appuntiti saranno entrati nelle parti più sensibili del più
delicato dei corpi. E pensa anche a quello che avrà provato la Vergine quando
avrà visto coi suoi occhi e udito con le sue orecchie i crudeli e duri colpi
che cadevano così frequenti su quelle membra divine, poiché veramente quei
colpi di martello e quei chiodi trapassavano le mani al figlio, ma spezzavano
il cuore alla Madre.
Guarda poi come sollevarono
in alto la croce piantandola in una buca che avevano preparato a questo scopo e
come (essendo così crudeli i carnefici) per sistemarla, la lasciarono cadere di
colpo, così che quel santo corpo avrà sobbalzato nell'aria e si saranno aperti
ancora di più i fori dei chiodi, producendo intollerabile dolore.
O mio Salvatore e Redentore,
quale cuore di pietra ci sarà che non si spezzi di dolore (e in quel giorno
infatti si spezzarono le pietre) ripensando a quanto hai sofferto su quella
croce? Ti hanno circondato dolori di morte e hanno infuriato sopra di te tutti
i venti e le onde del mare. Sei caduto nel più profondo degli abissi e non
trovi dove aggrapparti. Il Padre ti ha abbandonato, che cosa speri, Signore,
dagli uomini?
I nemici ti scherniscono, gli
amici ti spezzano il cuore, la tua anima è afflitta e tu, per amor mio, non
vuoi conforto. Terribili furono certo i miei peccati e la penitenza che ne hai
subito lo dimostra.
Ti vedo, mio Re, attaccato a
un legno: non c'è altro a sostenere il tuo corpo che tre ganci di ferro; da
essi, senza alcun altro sollievo, pende la tua santa carne. Quando appoggi il
corpo sui piedi, si strappano le ferite dei piedi a causa dei chiodi che li
attraversano, quando lo appoggi sulle mani, si strappano le ferite delle mani
per il peso del corpo.
E la santa testa stanca e
tormentata dalla corona di spine, che cuscino avrà a sostenerla?
O come sarebbero ben
impiegate ora a questo compito le vostre santissime braccia, o Vergine
dolcissima, ma ora non le vostre serviranno, ma quelle della croce. Sopra di
esse reclinerà la santa testa quando vorrà riposare e l'unico sollievo che ne
ritrarrà sarà il configgersi più forte delle spine nella carne.
I dolori del figlio erano
aumentati dalla presenza della Madre, dai quali dolori il suo cuore era
intimamente straziato come esteriormente lo era il sacro corpo. Ci sono due
croci per te, o buon Gesù, in questo giorno! una per il tuo corpo, una per la
tua anima; una della passione, l'altra della compassione; una trafigge il corpo
con chiodi di ferro, l'altra la tua santissima anima con chiodi di dolore. Chi
potrebbe, buon Gesù, spiegare quello che hai sofferto vedendo le angosce di quell'anima santissima, che sapevi così chiaramente essere
con tè crocifissa alla croce? Vedendo quel cuore pietoso trafitto e
attraversato da un coltello di dolore, volgendo gli occhi insanguinati e
guardando quel volto divino coperto da un pallore di morte? E le angosce del
tuo animo senza morte, ma già più che morto? E i fiumi di lacrime che
scorrevano da quegli occhi purissimi? E udendo i gemiti strappati da quel santo
petto e generati dal peso di tanto grande dolore?
Dopo di ciò, puoi meditare le
sette frasi che il Signore pronunciò sulla croce. Delle quali, la prima fu:
Padre perdona loro, che non sanno quello che fanno (Lc
23, 34). La seconda al ladrone: Oggi sarai con me in paradiso (Lc 23, 43). La terza alla sua Santissima Madre: Donna, ecco
tuo figlio (Gv 19, 26). La quarta: Ho sete (Gv 19, 28). La quinta: Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato? (Mt 27, 46). La sesta: Tutto è compiuto!
(20). La settima: Padre, nelle tue mani, raccomando il mio spirito (Lc 23, 46).
Pensa, dunque, anima mia, con
quanta carità in queste parole raccomandò i suoi nemici al Padre, con quanta
misericordia accolse il ladrone che gli proclamava la sua fede, con quanta
tenerezza raccomandò il discepolo amato alla pietosa Madre, con quale ardente
sete mostrò di desiderare la salvezza degli uomini, con che voce dolente sparse
la sua preghiera e dichiarò la sua sofferenza prima della divina sottomissione,
come perfettamente portò a termine la sua obbedienza al Padre e come, infine,
gli raccomandò lo spirito e tutto si consegnò nelle sue benedettissime
mani. Da ciò appare evidente che in ciascuna di questa è racchiusa una
testimonianza di virtù. Nella prima si raccomanda la carità verso i nemici,
nella seconda la misericordia verso i peccatori, nella terza il rispetto verso
i genitori, nella quarta il desiderio di salvezza del prossimo, nella quinta la
preghiera del dolore e dell'abbandono di Dio, nella sesta la virtù
dell'obbedienza e della perseveranza, nella settima la perfetta rassegnazione
nelle mani di Dio, che è la più alta di tutte le nostre perfezioni.
Sabato
In questo giorno, si deve
meditare sul colpo di lancia che fu dato al Salvatore e alla deposizione dalla
croce, col pianto della nostra Signora e il rito della sepoltura.
Considera dunque, come,
essendo già spirato il Salvatore sulla croce ed essendosi realizzato il
desiderio di quei crudeli nemici che tanto desideravano vederlo morto, ancora
non si estinse la fiamma del loro furore, perché si vollero ancor più vendicare
ed accanirsi sulle sante reliquie che restavano, dividendo e tirando a sorte le
sue vesti e squarciando con una lancia crudele il suo santo petto.
O crudeli carnefici! O cuori
di ferro, tanto poco vi sembra che il corpo vivo abbia patito che non volete
averne pietà neppure da morto? Quale terribile moto di rancore non si placa
quando vede innanzi a sé il nemico morto? Alzate un poco quegli occhi crudeli e
guardate quel volto di morte, quegli occhi spenti, quel viso distrutto, quel
pallore e quell'ombra di morte, che, anche se siete
più duri del ferro, del diamante o di voi stessi, guardandoli, vi ammansirete.
Giunge, quindi, il carnefice con la lancia in mano e la scaglia con forza nel
petto nudo del Salvatore. Per la forza del colpo, la croce vibrò nell'aria e
dalla ferita uscirono acqua e sangue con cui furono rimessi i peccati del
mondo.
O fiume che esci dal paradiso
e irrighi con il tuo corso tutta la faccia della terra! O piaga del sacro
costato prodotta più dall'amore degli uomini che dal ferro della lancia
crudele!
O porta del cielo, finestra
del paradiso, luogo di rifugio, torre di fortezza, santuario dei giusti,
sepolcro dei pellegrini, nido di dolci colombe e letto fiorito della sposa di
Salomone!
Dio ti salvi, piaga del sacro
costato, che piaghi i cuori devoti, ferita che ferisci le anime dei giusti,
rosa di ineffabile bellezza, rubino di inestimabile valore, porta del cuore di
Cristo, testimonianza del suo amore e pegno della vita eterna!
Dopo di ciò, considera come
la sera di quello stesso giorno giunsero quei due santi uomini, Giuseppe e
Nicodemo e, appoggiate le loro scale alla croce, calarono a braccia il corpo
del Salvatore.
Quando la Vergine vide che,
terminata la. tempesta della passione, il santo corpo
giungeva a terra, si preparava a dargli sicuro rifugio sul suo petto e ad
accoglierlo dalle braccia della croce nelle sue. Chiede quindi umilmente a
quella nobile gente che, poiché non aveva preso congedo da suo figlio ne aveva
ricevuto da lui gli ultimi abbracci sulla croce, al tempo della sua partenza,
la lascino ora ricongiungersi e non vogliano che ancora aumenti il suo
sconforto perché, se da una parte da vivo glielo hanno portato via i nemici,
dall'altra, ora, gli amici non glielo lasciano da morto.
Quando dunque la Vergine
l'ebbe fra le sue braccia, che lingua potrebbe esprimere ciò che provò? O
angeli della pace, piangete con questa santa Vergine! Piangete cieli, piangete
stelle del cielo e con voi tutte le creature del mondo, accompagnate il pianto
di Maria.
La Madre abbraccia il corpo
straziato, lo stringe forte al petto (solo per questo le restavano le forze),
pone il suo volto fra le spine del sacro capo, il volto si congiunge al volto,
il volto della santissima Madre si tinge del sangue del figlio e quello del
figlio si bagna delle lacrime della Madre.
O dolce Madre! È questo, per
ventura, il vostro dolcissimo figlio? È quello che avete concepito con tanta
gloria e partorito con tanta gioia? Che cosa è accaduto delle vostre gioie
passate? Dov'è andata la vostra passata felicità? Dov'è ora lo specchio di
bellezza in cui vi contemplavate? Tutti coloro che erano presenti piangevano,
piangevano le sante donne, i nobili uomini, piangevano il cielo e la terra e
tutte le creature accompagnavano le lacrime della Vergine. Piangeva anche il
santo evangelista e, abbracciato al corpo del suo Maestro, diceva: " O
buon Maestro! o Signor mio! chi d'ora in poi mi insegnerà? A chi esporrò i miei
dubbi? Sul petto di chi riposerò? Chi mi farà partecipe dei segreti del cielo?
Che terribile mutamento è accaduto! La notte scorsa mi tenesti sul tuo santo
petto, dandomi gioia di vita ed ora ripago quel grande dono, tenendo te morto
sul mio petto? Questo è il volto che ho visto trasfigurato sul monte Tabor? Questa è la figura risplendente nel sole di
mezzogiorno? ".
Piangeva anche la peccatrice,
abbracciata ai piedi del Salvatore e diceva: "O luce dei miei occhi e salvezza della mia anima! Se mi vedrò prostrata
dai peccati, chi mi accoglierà? Chi curerà le mie ferite? Chi risponderà per
me? Chi mi difenderà dai farisei? Quanto diversamente ebbi tra le mani questi
piedi e li lavai quando mi accogliesti! O amato del mio cuore! Chi potrebbe
concedermi ora di morire con te? O vita della mia anima! Come posso dire di
amarti se sono viva mentre ho tè morto davanti ai miei occhi?".
In questo modo piangeva e si lamentava quella santa compagnia, bagnando e lavando con le lacrime il santo corpo.
Giunta poi l'ora della
sepoltura, avvolgono il santo corpo in un lenzuolo pulito, coprono il volto con
un sudario e, postolo su un giaciglio, vanno con lui al luogo del sepolcro e lì
depositano quel prezioso tesoro. Il sepolcro fu chiuso da una pietra e il cuore
della Madre da un'oscura nebbia di tristezza. Lì si congeda un'altra volta da
suo figlio, lì comincia di nuovo a vivere la sua solitudine, lì si vede privata
di ogni suo bene, lì resta sepolto il suo cuore, dove resta il suo tesoro.
Domenica
In questo giorno, potrai
pensare alla discesa del Signore al limbo, alla sua apparizione alla Madonna,
alla santa Maddalena e ai suoi discepoli e, infine, al mistero della sua
gloriosa ascensione.
Riguardo al primo punto,
pensa a quanto sarà stata grande la gioia che quei santi padri del limbo
avranno provato per la presenza e la visita del loro liberatore e quanto lo
avranno ringraziato e lodato per la loro tanto attesa e desiderata salvezza.
Coloro che tornano in Spagna
dalle Indie Orientali dicono di ritenere ben ripagato tutto il travaglio della
passata navigazione dalla gioia che provano tornando alla loro terra. Se
producono questo effetto la navigazione e l'esilio di un anno o due, che cosa
avrà prodotto l'esilio di tre o quattromila anni il giorno che si sarà ricevuta
tanto grande salvezza e si sarà approdati alla terra dei viventi?
Pensa anche alla gioia che
Pensa anche alla gioia di
quelle sante Marie e soprattutto a quella di colei
che continuava a piangere sul sepolcro, quando avrà visto l'amato dell'anima
sua e si sarà gettata ai suoi piedi e avrà trovato risuscitato e vivo colui che
cercava e desiderava almeno da morto. E guarda come, dopo essere apparso alla
Madre, apparve per primo a quella che maggiormente amò, maggiormente perseverò,
maggiormente pianse e con maggiore sollecitudine lo cercò, così che tu possa
avere ben chiaro che troveresti Dio se lo cercassi con le stesse lacrime e con
la stessa perseveranza.
Considera il modo in cui
apparve ai discepoli che andavano ad Emmaus come
pellegrini (Lc 24, 13) e pensa come si mostrò
affabile, come si accompagnò a loro famigliarmente, quanto dolcemente si
dissimulò loro e, infine, quanto amorosamente si rivelò loro e li lasciò col
miele e la dolcezza sulle labbra. Siano dunque come i loro i tuoi discorsi e
tratta con dolore e partecipazione ciò che così essi trattavano (vale a dire i
dolori e le tribolazioni di Cristo) e sta' sicuro che, se te ne ricorderai
sempre, non ti mancheranno mai la sua presenza e la sua compagnia.
Circa il mistero
dell'ascensione, considera in primo luogo che il Signore ritardò questa ascesa
al cielo quaranta giorni e che durante questi apparve molte volte ai suoi
discepoli a cui dava il suo insegnamento e con i quali parlava del regno di Dio
(At 1, 3).
Non volle infatti salire al
cielo ne’ separarsi da loro, fino a che non potesse lasciarli tali da poter
salire al cielo con Lui. Vedrai quindi che coloro a cui manca molte volte la
presenza fisica di Cristo (cioè la consolazione sensibile della devozione)
possono ugualmente salire al cielo con lo spirito ed essere sicuri dal
pericolo. In ciò meravigliosamente risplende la provvidenza di Dio e il modo
che ha di trattare i suoi in tempi diversi, come rafforza i deboli ed esercita
i forti, da il latte ai piccoli e svezza i grandi, gli uni consola, gli altri
mette alla prova e così tratta ciascuno secondo la misura del suo vantaggio.
Per questo, ne’ colui a cui
viene donato deve inorgoglirsi perché il dono è prova della sua debolezza, ne’
colui che è lasciato senza conforto deve abbattersi, poiché ciò è, a volte,
segno della sua forza.
In presenza dei suoi discepoli
e mentre essi lo vedevano (At 1, 3), salì al cielo, poiché essi dovevano essere
testimoni di questi misteri e nessuno è miglior testimone delle opere di Dio di
colui che le conosce per esperienza. Se vuoi sapere davvero quanto Dio è buono,
quanto è dolce e soave con i suoi, quanta sia la forza e l'efficacia della sua
grazia, del suo amore, della sua provvidenza e delle sue consolazioni,
domandalo a coloro che ne hanno fatto l'esperienza, che te ne potranno dare la
più ampia testimonianza.
Volle anche che lo vedessero
salire al cielo perché lo seguissero con gli occhi e con lo spirito, perché
soffrissero della sua dipartita, sentissero la solitudine per la sua assenza,
poiché questa era la migliore preparazione per ricevere la sua grazia. Eliseo chiese ad Elia il suo spirito e il buon maestro gli
rispose: Se mi vedrai quando ti sarò tolto, riceverai quello che hai chiesto (2
Re 2, 10).
Saranno infatti eredi dello
spirito di Cristo coloro a cui l'amore farà provare dolore per il suo
allontanamento, che soffriranno della sua assenza e in questo esilio resteranno
a sospirare sempre la sua presenza. Così soffriva quel santo uomo che diceva:
Sei stato il mio consolatore e non ti sei congedato da me, andando per la tua
strada, hai benedetto i tuoi e io non me ne sono accorto. Gli angeli hanno
promesso che saresti tornato e io non ho sentito...
Quali saranno stati dunque la
solitudine, il dolore, le parole e le lacrime della santissima Vergine,
dell'amato discepolo, della santa Maddalena e di tutti gli apostoli quando
avranno visto andarsene e scomparire dai loro occhi colui che aveva conquistato
i loro cuori? E, malgrado ciò, si dice che tornassero a Gerusalemme pieni di
gioia perché tanto lo amavano. Il medesimo amore infatti che li faceva soffrire
per la sua partenza, li faceva esultare per la sua gloria, perché il vero amore
non ha per oggetto se stesso, bensì colui che si ama.
Resta da meditare con quanta
gloria, con quale gioia, con che grida di esultanza e di lode sarà stato
accolto quel nobile trionfatore nella città sovrana, quali saranno state la
festa e l'accoglienza che gli avranno tributato, che spettacolo sarà stato
vedere uniti insieme uomini ed angeli e tutti insieme camminare per quella
nobile città e riempire i seggi da tanti anni deserti e salire al di sopra di
tutti quella santissima umanità e sedersi alla destra del Padre. Bisogna
riflettere molto su questo per vedere quanto sono ben spese le sofferenze per
amore di Dio e come colui che si umiliò e patì più di tutte le creature sia qui
reso più grande e innalzato al di sopra di tutte loro, perché coloro che amano
la vera gloria capiscono la strada che debbono percorrere per giungervi, cioè
abbassarsi per ascendere e porsi al di sotto di tutti per essere, al di sopra
di tutti, innalzato.
capitolo quinto
LE SEI COSE CHE POSSONO ACCADERE NELLA PRATICA DELLA PREGHIERA
Queste sono. lettore
cristiano, le meditazioni su cui puoi riflettere nei giorni della settimana,
perché non ti manchi la materia su cui meditare. Bisogna notare qui che, prima
di questa meditazione, possono accadere alcune cose e altre poi possono seguire
che ad esse sono connesse e sono ad esse analoghe.
In primo luogo, infatti,
prima di procedere alla meditazione, è necessario preparare il cuore a questo
santo esercizio, il che è come accordare la chitarra prima di suonare.
Alla preparazione segue la
lettura del passo da meditare quel giorno, secondo la ripartizione dei giorni
della settimana (come abbiamo detto più sopra). Il che senza dubbio è
necessario all'inizio, per sapere ciò su cui si deve meditare.
Alla meditazione si può far
seguire un devoto rendimento di grazie per i benefici ricevuti e un'offerta di
tutta la nostra vita e di quella di Cristo nostro Salvatore, in ricompensa di
essi.
L'ultima parte è la
petizione, che propriamente si chiama preghiera, nella quale chiediamo tutto
ciò che è necessario per la nostra salvezza, per quella del nostro prossimo e
di tutta la Chiesa.
Nella preghiera possono
accadere queste sei cose, che hanno, tra gli altri vantaggi, quello di dare
all'uomo più abbondante materia di meditazione, ponendogli di fronte diverse
qualità di cibo, perché, se uno non può nutrirsi dell'una, si alimenti
dell'altra e perché, se in una cosa gli si interrompe il filo della
meditazione, entri tosto in un'altra dove gli si offra qualcosa d'altro da
meditare.
Mi rendo ben conto che ne’
tutte queste cose ne’ quest'ordine sono necessari; sono utili tuttavia a coloro
che cominciano per avere un ordine e un filo conduttore da seguire all'inizio.
Per questo, non desidero che nessuno dei princìpi che
qui ho esposto si faccia legge eterna o regola generale, perché il mio intento
non è quello di dare una legge bensì un'introduzione per porre sulla buona
strada gli inesperti a cui poi, quando l'avranno intrapresa, l'abitudine,
l'esperienza e molto di più lo Spirito Santo insegneranno il resto.
capitolo sesto
Sarà bene che trattiamo adesso, in particolare, ciascuna delle parti suddette e in primo luogo la preparazione, che tutte le precede.
Inginocchiato nel luogo della
preghiera, o in piedi o con le braccia in croce o prostrato o seduto, se non
può stare in altro modo, fatto prima il segno della croce, raccoglierà la sua
immaginazione, allontanandola da tutte le cose di questa vita, eleverà il suo
intelletto, pensando che nostro Signore lo sta guardando. E starà lì con
l'attenzione e il rispetto che avrebbe se lo avesse presente e, con un
pentimento generale dei suoi peccati (se è la preghiera del mattino), farà la
confessione generale o, se è quella della notte, farà l'esame di coscienza di
tutto quello che avrà pensato, detto, fatto e ascoltato in quel giorno e della
sua dimenticanza di nostro Signore, dolendosi delle mancanze di quel giorno e
di quelle di tutta la sua vita passata e umiliandosi davanti alla divina
maestà, davanti a cui dirà le parole del santo patriarca: Parlerò al mio
Signore anche se sono polvere e cenere, e poi reciterà quei versi del salmo: A
te io levo i miei occhi, a te che dimori nei cieli. Così come gli occhi dei
servi sono posti nelle mani dei padroni, come gli occhi della serva sono posti
sulle mani della sua padrona, così i nostri occhi sono posti su nostro Signore
in attesa che egli sia pietoso verso di noi (Sal 122, 1-2).
Abbi misericordia di noi, Signore,
abbi misericordia di noi. Gloria Patri... Poiché noi non siamo capaci, Signore,
di pensare qualcosa di buono di nostra iniziativa, ma ogni nostra capacità
deriva da Dio, poiché nessuno può degnamente invocare il nome di Gesù se non
con l'aiuto dello Spirito Santo. Vieni, o dolcissimo Spirito e manda dal cielo
i raggi della tua luce. Vieni, o Padre dei poveri, vieni, o datore della luce,
vieni, o luce dei cuori. Vieni, consolatore buonissimo e ospite dolce della
nostra anima e suo soave ristoro. Nella fatica, riposo; nell'ardore
dell'estate, refrigerio; nelle lacrime, conforto. O beatissima luce, colpisci
l'intimo del cuore dei tuoi fedeli. Emitte spiritum tuum et creabuntur et renovabis
faciem terrae. Oratio. Deus qui corda fidelium...
Detto questo, supplicherà poi
nostro Signore perché gli dia la grazia di prestare attenzione, la devozione,
il raccoglimento interiore, il timore, il rispetto che sono necessari per stare
davanti a cosi sovrana maestà e per impiegare il tempo della preghiera in modo da
uscirne con nuove forze e lena per tutte le attività necessario al suo
servizio.
La preghiera infatti che non produce questo frutto è imperfetta e vale molto poco.
capitolo settimo
LA LETTURA
Conclusa la preparazione,
segue poi la lettura di ciò che si deve meditare, che non deve essere ne’
rapida ne’ frettolosa, ma attenta e ben ponderata e a cui si deve applicare non
solo l'intelletto per capire ciò che si legge, ma molto di più la volontà per
gustare ciò che si capisce. Quando si trova qualche passaggio devoto, ci si
soffermi di più per meglio approfondirlo; la lettura non sia troppo lunga,
perché si deve dare più tempo alla meditazione che è tanto più vantaggiosa
quanto più riflette e penetra più lentamente e con maggiore partecipazione.
Qualora però si avesse il cuore così distratto da non poter penetrare nella
preghiera, ci si può trattenere un po' di più nella lettura o fondere la
lettura con la meditazione, leggendo un passo e meditandoci sopra e poi un
altro nello stesso modo, così che, restando congiunto alle parole della
lettura, l'intelletto non possa disperdersi in diverse parti, come quando è
libero e sciolto. Sarebbe meglio tuttavia combattere per respingere i pensieri,
perseverando e lottando (come un nuovo Giacobbe, tutta la notte) nella fatica
della preghiera. Infine, terminata la battaglia, si conseguirebbe la vittoria e
nostro Signore darebbe la devozione o altra più grande grazia, che non si
rifiuta mai a coloro che fedelmente combattono.
capitolo ottavo
LA MEDITAZIONE
Alla lettura segue la
meditazione del passo che abbiamo letto. Ed essa è qualche volta meditazione di
pensieri che si possono raffigurare con l'immaginazione, quali i momenti della
vita e passione di Cristo, il giudizio finale, l'inferno, il paradiso; altre
volte è meditazione di pensieri che interessano più l'intelletto che
l'immaginazione, come ad esempio la riflessione sui doni di Dio, sulla sua
bontà e misericordia o qualunque altra qualità si riferisca alle sue
perfezioni.
Questa meditazione si chiama
intellettuale, l'altra immaginativa e dell'una e dell'altra siamo soliti usare
in questi esercizi secondo come richiede
capitolo nono
IL RENDIMENTO DI GRAZIE
Terminata la meditazione, segue il rendimento di grazie, per cui si deve prendere occasione dalla meditazione compiuta, rendendo grazie a nostro Signore per il dono che in essa ci ha fatto.
Se la meditazione è stata
sulla passione, si deve ringraziare nostro Signore perché ci ha redento con
tante sofferenze, se è stata sui nostri peccati, perché ha atteso tanto tempo
il nostro pentimento, se sulle miserie di questa vita, perché da tante di esse
ci ha liberato, se sul momento della morte, perché ci ha liberato dai suoi
pericoli e ha atteso il nostro pentimento, se sul paradiso perché lo ha creato
per tanto bene, e così di ogni altra cosa.
A questi doni aggiungerà
tutti gli altri di cui prima si è parlato, che sono il dono della creazione,
della conservazione, della redenzione, della vocazione, eccetera. E così
ringrazierà nostro Signore perché lo ha creato a sua immagine e somiglianza,
perché gli ha dato la memoria per ricordarsi di lui, l'intelletto per
conoscerlo, la volontà per amarlo, perché gli ha dato un angelo che lo salvasse
da tanti travagli e pericoli, da tanti peccati mortali e dalla morte, quando si
trovava in essi; il che non fu altro che liberarlo dalla morte eterna; perché
scelse di assumere la nostra natura e di morire per noi; perché lo ha fatto
nascere da genitori cristiani e gli ha dato la grazia del santo Battesimo,
dandogli in esso la sua grazia, promettendogli la sua gloria e accogliendolo
come figlio adottivo; perché gli ha dato armi per combattere contro il demonio,
la carne nel Sacramento della Confermazione; perché gli ha dato se stesso nel
Sacramento dell'altare; perché gli ha dato il Sacramento della penitenza per
recuperare la grazia perduta col peccato mortale e per le molte buone
ispirazioni che sempre gli ha mandato e gli manda; per l'aiuto che gli ha dato
nel pregare, nel fare il bene, nel perseverare nel bene intrapreso. A questi
doni aggiunga gli altri generali e particolari che riconosce di avere ricevuto
da nostro Signore. Per questi e per tutti gli altri palesi e nascosti, renda
grazie quanto più può e inviti tutte le creature sia del cielo che della terra
perché lo aiutino in questo compito. Con questo spirito potrà dire, se vuole,
il cantico Benedicite
omnia opera Domini Domino, laudate et super exaltate (Dn 3,57). O il salmo Benedic anima mea Domino et omnia
quae intra me sunt nomini santo ejus. Benedic anima mea Domino et noli oblivisci omnes retributiones ejus. Quia prospiciatur omnibus iniquitatibus tuis, qui sanat omnes infirmites
tuas. Qui redimii de interitu vitam tuam, qui coronai tè in misericordia et
miserationibus... (Sal 102,1-4).
capitolo decimo
L'OFFERTA
Ringraziato di tutto cuore il Signore per tutti questi benefici, il cuore prorompe spontaneamente in quello slancio del profeta David che dice: Cosa darò io al Signore in cambio di tutti i doni che mi ha dato? (Sal 115, 12). L'uomo può in qualche modo soddisfare questo desiderio, dando ed offrendo a Dio, da parte sua, tutto ciò che ha e può offrirgli.
Per questo, in primo luogo,
deve offrire se stesso in perpetua schiavitù consegnandosi e ponendosi nelle
sue mani perché faccia di lui ciò che vuole, nel tempo e nell'eternità, e
offrire insieme tutte le sue parole, le sue opere, i suoi pensieri, le sue
fatiche, cioè tutto ciò che farà e affronterà, perché tutto torni ad onore e
gloria del suo santo nome.
In secondo luogo, può offrire
al Padre tutto quanto suo figlio fece e meritò, tutte le sofferenze che patì in
questo mondo per obbedienza a lui, dal presepio fino alla croce, perché tutto
questo è la nostra ricchezza e l'eredità che ci lasciò nel Nuovo Testamento per
cui ci fece eredi di questo grande tesoro.
E così, poiché ciò che mi è
dato per grazia non mi appartiene meno di ciò che ho acquisito con le mie
forze, i meriti e i diritti che mi ha dati non mi appartengono meno di quanto
accadrebbe se li avessi ottenuti col mio sudore e la mia fatica. E per questo
si può fare quest'offerta non meno della prima, annoverando, per suo ordine,
tutto quanto ha fatto e faticato, tutte le virtù della sua santissima vita, la
sua obbedienza, la sua pazienza, la sua umiltà, la sua fedeltà, la sua carità,
la sua misericordia con tutte le altre. È questa, infatti, la più bella e ricca
offerta che possiamo fare.
capitolo undicesimo
LA RICHIESTA
Fatta questa ricca offerta,
certo possiamo chiedere per essa la ricompensa.
In primo luogo, chiediamo con
slancio di carità, preoccupati della gloria di nostro Signore che tutte le
genti del mondo lo conoscano, lo lodino e lo adorino come il loro unico, vero
Dio e Signore, profferendo dall'intimo del nostro cuore quella parola del
profeta: Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti (Sal 66, 4).
Preghiamo inoltre per i capi
della Chiesa, Papi, Cardinali, Vescovi con tutti gli altri sacerdoti e prelati
inferiori, perché il Signore li accenda e li illumini così che sappiano portare
tutti gli uomini alla conoscenza e all'obbedienza del loro creatore. Dobbiamo
anche pregare (come consiglia san Paolo) per i re e per tutti coloro che
posseggono qualche autorità, perché possiamo noi, grazie alla loro tutela,
vivere una vita tranquilla e serena.
Poiché ciò è gradito agli
occhi di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino
e pervengano alla conoscenza della verità. Preghiamo anche per tutti i membri
del Corpo Mistico, per i giusti affinché il Signore li conservi, per i
peccatori affinché li converta, per i defunti affinché misericordiosamente li
tragga da tanti patimenti e li porti alla pace della vita eterna.
Preghiamo anche per tutti i
poveri, gl'infermi, i carcerati, i prigionieri... Che Dio, per i meriti di suo
figlio, li aiuti e li liberi dal male.
Dopo avere chiesto per il
nostro prossimo, chiediamo per noi; ciò che dovremo chiedere lo mostrerà a
ciascuno la sua necessità, se saprà riconoscerla.
Tuttavia, per facilitare
questo insegnamento, ecco le grazie che possiamo chiedere.
In primo luogo, chiediamo,
per i meriti e le sofferenze di nostro Signore, perdono di tutti i nostri
peccati e la forza di correggerli; specialmente chiediamo aiuto contro tutte le
passioni e i vizi a cui siamo più inclini e da cui siamo più tentati, scoprendo
le nostre piaghe al medico celeste perché le risani e le curi col balsamo della
sua grazia.
In secondo luogo, chiediamo
le altissime e nobilissime virtù in cui consiste la somma di ogni cristiana
perfezione, che sono fede, speranza, carità, timor di Dio, umiltà, pazienza,
obbedienza, forza per ogni tribolazione, semplicità di spirito, disprezzo del
mondo, discrezione, purezza di intenzioni, con le altre virtù simili che sono in
cima a questo edificio spirituale. La fede, infatti, è la radice prima di tutta
la cristianità, la speranza è il sostegno e il rimedio contro le tentazioni di
questa vita, la carità è il fine di ogni perfezione cristiana, il timor di Dio
è il principio di ogni sapienza, l'umiltà è il fondamento di tutte le virtù, la
pazienza è l'armatura contro i colpi e gli assalti del nemico. L'obbedienza è
la graditissima offerta in cui l'uomo offre se stesso a Dio in sacrificio, la
discrezione è gli occhi con cui l'anima vede e percorre tutte le sue strade, la
forza è le braccia con cui compie tutte le sue opere, la purezza di intenzioni
è quella che rimanda e indirizza tutte le nostre opere a Dio.
In terzo luogo, chiediamo le
altre virtù che, oltre ad essere di per sé importanti, servono a custodire
quelle più grandi, vale a dire la moderazione nel bere e nel mangiare, la
moderazione della lingua, il controllo dei sensi, la misura e la compostezza
esteriore, la dolcezza e il buon esempio nei riguardi del prossimo, il rigore e
la severità nei riguardi di se stessi, con le altre analoghe virtù.
Dopo di ciò, termini con la
richiesta dell'amor di Dio e in essa si trattenga, occupando la maggior parte
del tempo nel chiedere al Signore questa virtù con profondi affetti e sentimenti
(poiché in essa consiste tutto il nostro bene). Potrà dire così.
Speciale richiesta dell'amore
di Dio
Al di sopra di tutte queste
virtù, concedimi, Signore, la tua grava affinché io ti ami con tutto il mio
cuore, con tutto il mio animo, con tutte le mie forze con tutto il mio intimo,
come tu comandi. O tu, che sci tutta la mia speranza, tutta la mia gloria,
tutto il mio rifugio, tutta la mia gioia! O tu, più amato di tutti gli esseri
amati!. O sposo fiorente, sposo soave, o tenero sposo! O dolcezza del mio
cuore! O vita dell'anima mia e gioioso sollievo del mio spirito! O giorno
luminoso e bello dell'eternità, serena luce del mio intimo e imito paradiso del
mio cuore! O mio amabile principio, mia somma forza!
Prepara, Dio mio, prepara,
Signore, un gradevole soggiorno per te in me. affinché, secondo la promessa
della tua santa parola, tu venga a me e possa in me riposare.
Mortifica in me tutto db che
non piace ai tuoi occhi e rendimi uomo secondo le intenzioni del tuo cuore.
Colpisci, Signore, la più profonda intimità del mio cuore con le saette del tuo
amore e ubriacala col vino della tua perfetta carità. Oh, quando questo
accadrà? Quando ti sarò gradito in ogni mio aspetto? Quando sarà morto tutto
ciò che in me ti è contrario? Quando ti apparterrò totalmente? Quando cesserò
di essere mio? Quando avverrà che nessuna cosa vivrà in me al di fuori di te?
Quando ti amerò di amore ardentissimo? Quando mi brucerà tutta la fiamma del tuo
amore? Quando sarò del tutto vinto e trafitto dalla tua soavissima dolcezza?
Quando aprirai a questo
povero mendicante e gli scoprirai il tuo bellissimo regno che sta dentro di me,
che sei tu con tutte le tue ricchezze? Quando mi trasporterai e annegherai e
trascinerai e nasconderai in te, così che io non sia più io? Quando, eliminati
tutti gli impedimenti e gli ostacoli, mi farai un solo spirito con te, così che
non possa mai più separarmi da te?
O amato, amato, amato
dell'anima mia! O dolcezza, dolcezza del mio cuore!
Esaudiscimi, Signore, non per
i miei meriti, ma per la tua infinita bontà! Insegnami, illuminami,
indirizzami, aiutami in tutte le circostanze perché niente sia fatto e sia
detto se non ciò che è gradito ai tuoi occhi. O mio Dio, mio amato, altissimo
bene dell'anima mia! O amore mio dolce! O mia grandissima gioia! O mia forza,
veglia su di me! Luce mia, fammi da guida! O Dio del mio grande amore, perché
non ti concedi al povero? Tu penetri i cieli e la terra e lasci vuoto il mio
cuore?
Tu vesti i gigli dei campi,
procuri il cibo agli uccellini e sostenti i vermi della terra ti scordi di me
che tutto dimentico per te?
Tardi ti ho conosciuto, o
bontà infinita! Tardi ti ho amato, o bellezza così antica e così nuova!
Infelice il tempo che non ti ho amato! Me infelice quando non ti conoscevo!
Cieco quando non ti vedevo! Eri dentro di me ed io ti cercavo all'esterno!
Anche se ti ho trovato tardi, non permettere. Signore, per tua divina clemenza,
che io ti abbandoni mai.
Se uno degli aspetti che più
ti piacciono e più colpiscono il tuo cuore è che si abbia occhi per saperti guardare,
dammi Signore gli occhi per guardarti, occhi semplici di colomba, occhi casti e
timorosi, occhi umili e innamorati, occhi devoti e che sanno piangere, occhi
assenti e discreti per comprendere e compiere la tua volontà, affinché,
guardandoti io con essi, sia da te guardato con gli occhi con cui hai guardato
Pietro, facendolo piangere per il suo peccato, gli occhi con cui hai guardato
il figliol prodigo, quando gli andasti incontro per
riceverlo col bacio di pace, gli occhi con cui hai guardato il pubblicano
quando non osava alzare lo sguardo al cielo, gli occhi con cui hai guardato la
Maddalena, quando con le sue lacrime ti lavava i piedi, gli occhi, infine, con
cui hai guardato la sposa del Cantico dei Cantici quando le hai detto: "Sei bella, amica mia, sei bella! i tuoi
occhi sono di colomba!". Perché, compiacendoti degli occhi e della
bellezza dell'anima mia, tu le dia quegli ornamenti di virtù e grazia che
possono sempre farla apparire bella.
O altissima, clementissima, benigna Trinità, Padre, Tiglio, Spirito
Santo, Dio unico e vero insegnami, guidami, aiutami, Signore di tutto! O Padre
onnipotente, per la grandezza del tuo infinito potere, riponi e conferma in te
la mia memoria e riempila di santi e devoti pensieri! O Figlio santissimo, con
la tua eterna sapienza, purifica il mio intelletto, adornato della conoscenza
della somma verità e della mia estrema bassezza! O Spirito Santo, amore del
Padre e del Figlio, con la tua ineffabile bontà, trasferisci in me tutta la tua
volontà, accendila di un fuoco d'amore così grande che nessun'acqua
possa spegnerla!
O santa Trinità, unico Dio
mio, che sei tutto il mio bene!
Oh, se potessi lodarti e
amarti come ti lodano e ti amano tutti gli angeli!
Oh, se avessi l'amore di
tutte le creature, con quanta gioia te lo darei e lo trasferirei in te, pur
sapendo che non è sufficiente ad amarti come meriti!
Tu solo puoi degnamente amare
e lodare tè stesso, perché tu solo comprendi la tua incommensurabile bontà e
puoi amarla. quanto essa merita, così che solo nel tuo divinissimo
cuore può trovar luogo un amore adeguato a te.
O Maria, Maria, Maria,
Vergine santissima, madre di Dio, regina del cielo, Signora del mondo,
tabernacolo dello Spirito Santo, giglio di purezza, rosa di pazienza, paradiso
di gioia, esempio di castità, modello di innocenza! Prega per questo povero,
esule e viandante e spartisci con lui la sovrabbondanza della tua traboccante
carità.
O voi beati santi e sante, o
voi beati spiriti che tanto ardete dell'amore del vostro Creatore e
soprattutto, voi Serafini, che infiammate del vostro amore il cielo e la terra,
non abbandonate questo povero, miserabile cuore, ma purificatelo come le labbra
di I saia. di tutti i suoi peccati, fatelo ardere con la fiamma di questo
vostro ardentissimo amore, perché ami solo il suo
Signore, lui solo cerchi, in lui solo riposi e dimori per i secoli dei secoli.
Amen.
capitolo dodicesimo
ALCUNE AVVERTENZE DA TENER PRESENTI IN QUESTA SANTA PRATICA
Tutto ciò che si è detto sin
qui serve come materia di meditazione, che è uno degli aspetti principali di
questo esercizio, perché solo la minima parte della gente ha bastante materia
di meditazione e così, per difetto di essa, molti non possono fare bene questa
pratica. Diremo ora, in breve, il modo e la forma con cui dobbiamo seguirla. Sebbene
in questa materia il primo maestro sia lo Spirito Santo, l'esperienza ci ha
tuttavia dimostrato che sono qui necessarie alcune avvertenze perché la strada
per giungere a Dio è ardua e necessita di guida, senza la quale molti per molto
tempo sono perduti e fuorviati.
Prima avvertenza
Questa sia dunque la prima
avvertenza: quando ci mettiamo a meditare qualcuno dei pensieri suddetti, nel
tempo e con le pratiche determinate, non dobbiamo restare attaccati ad essa
tanto da considerare mal fatto procedere da essa ad un'altra, se in essa
troviamo maggior devozione, maggior gioia, maggior vantaggio, poiché, dato che
il fine di questo esercizio è la devozione, si deve considerare migliore ciò
che più serve a questo fine.
Tuttavia, ciò non si deve
fare per ragioni banali, bensì a ragion veduta. Così, se in qualche momento
della propria orazione o meditazione si sente più gioia o devozione che in un
altro, ci si trattenga in esso tutto il tempo che questo sentimento dura, anche
se esso occupa tutto il tempo del raccoglimento. Perché se, come abbiamo detto,
il fine di tutto è la devozione, sarebbe uno sbaglio cercare in un'altra parte,
con incerta speranza, ciò che abbiamo già sicuro tra le mani.
Seconda avvertenza
La seconda avvertenza è
sforzarsi di evitare, in questo esercizio di pietà, l'eccessiva concentrazione
dell'intelletto e dedicarsi ad esso più con lo slancio e la tensione della
volontà che coi discorsi e le elucubrazioni dell'intelletto. Senza dubbio,
infatti, falliscono l'intento coloro che si pongono a meditare i misteri divini
nella preghiera come se li studiassero per predicare, il che significa più
dissipare lo spirito che raccoglierlo e andare più fuori che dentro di sé. Così
si verifica che, terminata la preghiera, restano aridi, senza il frutto della
devozione, superficiali e disponibili a qualsiasi banalità come erano prima.
Difatti, in realtà, essi non hanno pregato, bensì parlato e studiato, il che è
cosa ben diversa dalla preghiera. Costoro dovrebbero considerare che in questo
esercizio noi giungiamo più ad ascoltare che a parlare. E per ben riuscire
dunque a ciò, bisogna giungervi col cuore di una vecchietta umile e ignorante e
più con la volontà disposta e preparata ad intendere e ad amare le cose di Dio
che con l'intelletto aguzzato e intento a sviscerarle, poiché questo
atteggiamento è proprio di coloro che studiano per sapere e non di coloro che
pregano e pensano a Dio per piangere.
Terza avvertenza
La precedente avvertenza ci
insegna come dobbiamo moderare l'intelletto e affidare tutto il nostro impegno
alla volontà, ma anche a questa bisogna porre una regola e una misura, perché
non sia ne’ eccessiva ne’ veemente nel suo sforzo, poiché bisogna rendersi
conto che la devozione che vogliamo raggiungere non può essere raggiunta per
forza come pensano alcuni, che cercano di ottenere le lacrime e la compassione
quando pensano alla passione del Salvatore, con eccessiva sollecitudine a
tristezze forzate e fittizie, perché questo serve solo a inaridire il cuore e a
renderlo non disponibile alla visitazione del Signore, come ci insegna Cassiano (Collation 9 cap. 30).
Oltre a ciò, questi
atteggiamenti sono soliti danneggiare la salute del corpo e a volte lasciano
l'animo così intimorito dall'insipienza tratta dalla meditazione, che si ha
paura di tornare ancora ad essa come a qualcosa che si è esperimentato come un
fastidio. Ci si accontenti, dunque, di fare bene ciò che ci spetta, che è
trovarsi presente a ciò che il Signore patì, guardando con occhi semplici e
sereni, con cuore tenero, compassionevole e disponibile a tutto il dolore che
il Signore voglia infonderci per quello che ha patito, più disposti ad
accogliere l'effetto prodotto dalla sua misericordia che ad esprimerlo per
forza. E non ci si angosci inoltre se questo effetto non si produce.
Quarta avvertenza
Da tutto quanto abbiamo
detto, possiamo dedurre qual è la forma di attenzione che dobbiamo avere
nell'orazione, perché, soprattutto qui, dobbiamo avere il cuore non abbattuto e
fiacco, bensì vivo, attento e proteso verso l'alto.
Quando tuttavia è necessario
impegnarsi con attenzione e raccoglimento del cuore, tanto d'altra parte
bisogna che tale attenzione sia misurata e moderata perché non sia dannosa alla
salute e di ostacolo alla devozione. Ci sono alcuni, infatti, come abbiamo
detto, che si stancano la testa con l'eccessivo sforzo di concentrarsi in ciò
che pensano.
Ci sono altri, invece, che,
per evitare questi inconvenienti, se ne stanno deboli, dimessi e pronti a farsi
portar via da tutti i venti. Per evitare questi estremi, bisogna tenere la
giusta misura, così da non stancare la testa con l'eccessiva attenzione e da
non lasciar vagabondare il pensiero dove vuole per disattenzione e fiacchezza.
Come siamo soliti dire a chi cavalca un cavallo difficile, si tratta tenere le
redini giuste, né tirate né lente, perché non torni indietro o proceda
pericolosamente e così dobbiamo fare in modo che la nostra attenzione sia
moderata e non forzata, attenta e non angosciata dallo sforzo.
In modo particolare, dobbiamo
raccomandare di non stancare la testa con eccessiva attenzione all'inizio della
meditazione, perché, quando si fa questo, mancano le forze per andare avanti,
come mancano al viandante che, all'inizio della giornata, cammini troppo in
fretta.
Quinta avvertenza
Fra tutte queste avvertenze,
la più importante è che chi prega non si disanimi ne’ cessi dal suo sforzo
quando non avverte subito la dolcezza di devozione che desidera. Bisogna
attendere con umiltà e perseveranza la venuta del Signore, poiché dalla gloria
della sua maestà, dalla bassezza della nostra condizione e dalla grandezza del
compito a cui ci siamo accinti, dipende il fatto che molte volte restiamo ad
attendere e a pazientare alle porte del suo sacro palazzo.
Quando dunque avrai
pazientato un poco in questo modo, se il Signore verrà, ringrazialo per la sua
venuta; se ti sembra che non venga, umiliati davanti a lui, riconosci di non
meritare ciò che non ti è stato dato e contentati di aver fatto lì sacrificio
di te stesso, annullato la tua volontà, crocifisso il tuo istinto, lottato con
il demonio e con tè stesso e fatto almeno quanto spettava a te. Se non hai
adorato il Signore con l'adorazione sensibile che desideravi, basta che tu lo
abbia adorato in spirito e verità come lui vuole essere adorato (Gv 4, 23). E credimi, in verità, che questo è il frangente
più pericoloso di questa navigazione, il luogo dove si mettono alla prova
coloro che sono veramente devoti, e che, se ne esci bene, tutto il resto andrà
a gonfie vele.
Infine, se proprio ti
sembrasse una perdita di tempo insistere nella preghiera e stancarti
inutilmente la testa, in tal caso non sarebbe sconveniente, dopo aver fatto
tutto quello che potevi, prendere un libro di devozione e interrompere, al
momento, la preghiera per la lettura; basta che la lettura non sia affrettata e
superficiale, ma calma e partecipe di ciò che leggi, arricchita molte volte
dalla preghiera, che è molto utile e facile da fare ad ogni genere di persona,
anche se inesperta, soprattutto in questo cammino.
Sesta avvertenza
Non diversa e non meno
necessaria di quella precedente è l'avvertenza che il servo di Dio non si
accontenti di un qualsiasi piccolo piacere che possa provare nella sua
preghiera (come fanno alcuni che, spargendo una lacrimuccia
o provando una certa tenerezza di cuore, pensano di avere già esaurito il loro
compito). Ciò non basta per quello che qui vogliamo raggiungere. Così come non
basta perché la terra dia frutti una spruzzatina d'acqua che non fa altro che
toglier di mezzo la polvere e bagnare la terra dall'esterno, bensì è necessaria
tanta acqua da penetrare nel profondo della terra e da lasciarla pregna di
umidità, così che possa dar frutti; è anche necessaria l'abbondanza di questa
rugiada e acqua celeste per dar frutto di opere buone.
Proprio per questo, molto
giustamente si consiglia di impiegare, per questo santo esercizio, il maggior
tempo possibile.
E sarà meglio un lasso di
tempo lungo piuttosto che due corti, perché, se lo spazio è breve, è
sufficiente solo a porsi nelle adatte condizioni di spirito e ad acquietare il
cuore, così che, dopo averlo acquietato, interrompiamo l'esercizio quando
sarebbe ora di cominciarlo.
Scendendo più in particolare
a delimitare questo tempo, mi sembra che. se è inferiore ad un'ora e mezzo o
due ore, sia troppo poco per la preghiera, dal momento che molte volte si passa
più di mezz'ora ad accordare la chitarra e a porsi nello stato d'animo adatto
come ho detto e il resto del tempo serve per godere il frutto della preghiera.
È vero che quando a questo santo esercizio ci si applica dopo altre pie
pratiche, vale dire dopo il mattutino o dopo aver ascoltata o celebrata la
messa o dopo qualche lettura devota o una preghiera, il cuore si trova già
disposto e si accende prestissimo (come legna ben secca) a questo fuoco
celeste. È peccato che la mattina presto sia tanto breve, perché è proprio il
tempo più adatto a questa pia pratica.
Chi avesse tuttavia scarsità
di tempo per le sue troppe occupazioni, non rinunci ad offrire la sua monetina
come la povera vedova nel tempio (Lc 21, 2), perché
se ciò non dipende dalla sua negligenza, colui che provvede alle creature
conformemente alla loro natura e necessità, provvederà anche a lui in base alla
sua.
Settima avvertenza
Analogo a questo ammonimento,
ve n'è un altro simile, cioè che quando l'anima, nella preghiera o fuori di
essa, abbia qualche particolare visitazione del Signore, non la lasci passare
invano, bensì approfitti dell'occasione che le si offre, poiché certo con
questo vento si navigherà, in un'ora, di più che, senza di esso, in molti giorni.
Così si dice che facesse san Francesco, di cui scrive san Bonaventura, che
aveva tanta preoccupazione di ciò che, se il Signore giungeva a lui durante il
cammino con qualche particolare visitazione, faceva andare avanti i compagni e
se ne stava fermo fino a che aveva finito di assaporare e di gustare quel
boccone che gli veniva dal cielo. Coloro che non fanno così sono puniti con la
sofferenza di non trovare Dio quando lo cercano, poiché quando lui li cercava
non li ha trovati.
Ottava avvertenza
L'ultima e più importante
avvertenza è di cercare di fondere in questo santo esercizio la meditazione con
la contemplazione, facendo dell'una gradino per salire all'altra, per cui
occorre sapere che il compito della meditazione consiste nel considerare con
diligenza ed attenzione le cose divine, passando dall'una all'altra per trarre
da esse nel nostro cuore qualche reazione o sentimento, come chi colpisce una
pietra focaia per trame qualche scintilla. La contemplazione consiste
nell'avere già tratto questa scintilla, cioè nell'avere già trovato la reazione
e il sentimento che si cercava e nello stare quieti e silenziosi a godere di
essa, non con tanti discorsi ed elucubrazioni dell'intelletto, bensì con una
semplice visione della verità.
Per questo dice un santo dottore
che la meditazione trascorre con la fatica e con frutto, mentre la
contemplazione trascorre senza fatica e con frutto; l'una cerca, l'altra trova,
una mastica il cibo, l'altra lo gusta, una passa in rassegna le cose e ne trae
considerazioni, l'altra è appagata da una semplice visione delle stesse, perché
ne possiede già l'amore ed il gusto; infine, l'una è il mezzo, l'altra il fine,
l'una è strada e movimento, l'altra la meta di questa strada e di questo
movimento.
Da ciò si deduce una verità
molto ovvia, che tutti i maestri della vita spirituale insegnano (ma che è
tuttavia poco capita da coloro che la leggono), che cioè come, quando si è
raggiunto il fine, non si ha più bisogno dei mezzi, nello stesso modo in cui
raggiungendo il porto cessa la navigazione, così quando, mediante lo sforzo
della meditazione si giunge al riposo e alla gioia della contemplazione, si
deve cessare da quella pietosa e faticosa ricerca. Contenti della semplice
visione e memoria di Dio (come se lo si avesse presente) si deve godere dei
sentimenti che suscita, ora d'amore, ora di ammirazione, ora di gioia o cose
simili.
La ragione per cui si da
questo consiglio è che, poiché il fine di tutto questo sforzo consiste più
nell'amore e nelle reazioni della volontà che nella speculazione
dell'intelletto, quando la volontà è già afferrata e presa da queste reazioni,
si devono evitare, per quanto ci è possibile, tutti i discorsi e le
elucubrazioni dell'intelletto, perché l'anima nostra si impegni in ciò con
tutte le sue forze senza disperdersi negli atti di altre facoltà.
Per questo, un padre della
Chiesa consiglia che, quando ci si sente infiammati dall'amore di Dio, si
interrompa ogni discorso e pensiero per alto che sia, non perché sia cattivo,
ma perché in quel momento impedisce un bene più grande, il che non vuol dire
altro che si deve interrompere il movimento quando si è giunti alla meta e
lasciare la meditazione per amore della contemplazione. Ciò in particolare si
può fare alla fine di tutto l'esercizio, cioè alla richiesta dell'amore di Dio,
di cui prima abbiamo trattato; in primo luogo perché si presuppone che lo
sforzo dell'esercizio compiuto abbia prodotto qualche effetto e sensazione di
Dio, poiché, come dice il sapiente, è meglio la fine che l'inizio della
preghiera (Qo 7, 8), in secondo luogo perché, dopo lo
sforzo della meditazione e della preghiera, è giusto dare un po' di sollievo
all'intelletto e farlo riposare in seno alla contemplazione. In questo tempo,
quindi, si respingano tutte le immaginazioni, taccia l'intelletto, riposi la
memoria e ci si affidi a nostro Signore, pensando che stiamo alla sua presenza
e non abbiamo bisogno in quel momento di riflettere intorno ad aspetti
particolari di Dio.
Ci si accontenti della
conoscenza di Dio che si ha per fede e si applichino la volontà e l'amore,
questo che può abbracciarlo e quella in cui sta il frutto di tutta la
meditazione, poiché ciò che di Dio può conoscere l'intelletto è quasi nulla
mentre la volontà può molto amarlo. Ci si rinchiuda in se stessi, al centro
della propria anima, dov'è l'immagine di Dio e si stia attenti a lui come chi
ascolta uno che parli da un'alta torre o come se si avesse solo lui dentro il
proprio cuore o in tutto il creato non ci fosse altra cosa che lui. Ci si deve
dimenticare anche di se stessi e di ciò che si fa, perché come dice uno dei
padri la preghiera è perfetta quando chi prega non si ricorda di stare pregando
(Cassiano, Collat. e Dionis. Areop., cap. 2°). Non
solo alla fine dell'esercizio, ma anche in mezzo ad essa e in qualsiasi altro
momento in cui ci colga questo sonno spirituale e l'intelletto sia come
assopito dalla volontà, dobbiamo fare questa pausa e godere di questo beneficio
e tornare al nostro sforzo, dopo aver assaporato e gustato quel boccone.
Così fa l'ortolano quando
irriga un solco e, dopo averlo riempito d'acqua, trattiene il filo della
corrente e lo fa assorbire e diffondere nelle viscere della terra che lo ha
accolto e poi, una volta fatto questo, torna ad aprire il getto dell'acqua
perché ne riceva ancora e meglio resti irrigata. Quello che allora l'anima
prova, la luce di cui gode, la pienezza, la carità e la pace che riceve non si
possono spiegare a parole, poiché qui è la pace che trascende ogni senso e la
felicità che nella vita si può attingere.
Ci sono alcuni che, così
presi dall'amore di Dio, quando si mettono a pensare a lui, appena la memoria
del suo dolce nome intimamente li pervade, hanno tanto poco bisogno di
considerazioni o di discorsi per amarlo, quanto la madre o la sposa per
compiacersi, quando gliene parlano, del loro figlio o sposo.
Ci sono altri che non solo
nella pratica della preghiera, ma anche fuori di essa, sono così assorti e
imbevuti di Dio, che si dimenticano di ogni cosa e di se stessi per lui. Se
giunge a questo anche il folle amore di uno sciagurato, quanto più lo potrà
l'amore dell'infinita bellezza di Dio, dal momento che la grazia non è meno
potente della natura e della colpa? Quando l'anima avverte questo, in qualsiasi
momento della preghiera, non deve mai trascurarlo, anche se in ciò si consuma
tutto il tempo, senza pregare o meditare altre cose che si erano prefisse, a
meno che non se ne abbia l'obbligo. Dice infatti sant'Agostino
che si deve interrompere la preghiera vocale se per caso impedisce la devozione
e che si deve interrompere la meditazione quando è di impedimento alla
contemplazione (In Enchirid.).
Bisogna anche rilevare che se
bisogna interrompere la meditazione per l'emozione per salire dal meno al più,
così al contrario, a volte, bisogna lasciare l'emozione per la contemplazione
quando l'emozione è così violenta da far temere qualche rischio per la salute
se si insiste in essa, come molte volte accade a coloro che, senza questa
avvertenza, si dedicano a questo esercizio e lo compiono senza prudenza,
attratti dalla forza della divina dolcezza. In questo caso, come dice un padre
della Chiesa, è un buon rimedio lasciarsi andare a qualche sentimento di
compassione, meditando un poco la passione di Cristo, i peccati e le miserie
del mondo, per dare al cuore sfogo e sollievo.
PARTE SECONDA
capitolo primo
COS'È LA DEVOZIONE
La fatica più grande che debbono affrontare le persone che si dedicano alla preghiera è la mancanza di devozione in cui spesso si trovano, poiché quando essa non manca, non vi è cosa più facile e più dolce che il pregare. Per questa ragione, poiché abbiamo già trattato l'argomento della preghiera e il modo in cui essa deve svolgersi, sarà bene che trattiamo adesso delle difficoltà e delle tentazioni più comuni delle persone devote e di alcune avvertenze di cui tener conto in questi esercizi. In primo luogo, sarà opportuno dire chiaramente cos'è la devozione per sapere prima quale sia il bene in cui ci impegnarne.
La devozione (dice san
Tommaso) è una virtù che rende l'uomo sollecito e pronto a tutte le altre virtù
e che ridesta e sollecita al bene operare (II Quest.,
82, art. 1).
Questa definizione dichiara
in modo manifesto la grande necessità e utilità di questa virtù in cui è
rinchiuso più di quanto si possa pensare.
Per la qual cosa, bisogna
sapere che il maggiore impedimento al vivere bene è la corruzione della natura
umana derivata dal peccato, da cui procedono la nostra inclinazione al male e
la difficoltà e la lentezza nell'operare il bene. Queste due ci rendono molto
difficile il cammino della virtù, che è di per sé la cosa più bella, più
amabile, più onorevole del mondo.
Contro questa difficoltà e
lentezza, la divina sapienza progettò il più adeguato rimedio che è la virtù e
il soccorso della devozione poiché, come il vento di tramontana disperde le
nubi e lascia il cielo sereno e sgombro, così la vera devozione spazza dalla
nostra anima ogni lentezza e difficoltà e la lascia idonea e sgombra per ogni
bene; questa è una virtù tale da essere un dono dello Spirito Santo, una
rugiada del cielo, un aiuto, una visitazione di Dio, raggiunto con la
preghiera, la cui prerogativa è combattere contro la difficoltà e la lentezza,
vincere la tiepidezza, dare prontezza, riempire l'anima di buoni desideri,
illuminare l'intelletto, rafforzare la volontà, accendere l'amore a Dio,
spegnere le fiamme dei turpi desideri, generare distacco dal mondo e odio per
il peccato, imprimere all'uomo un nuovo fervore, un nuovo spirito, una nuova
forza, un nuovo respiro per operare il bene.
Così come fu Sansone che,
quando aveva i capelli, aveva maggiore forza di tutti gli altri uomini del
mondo e, quando ne restò senza, era debole come tutti gli altri, così è anche
l'anima del cristiano quando ha la devozione; quando non l'ha è debole. Questo,
dunque, è ciò che volle dire san Tommaso in quella definizione e questa è senza
dubbio la più grande lode che si possa fare di questa virtù, che, pur essendo
una sola, è uno stimolo e uno sprone per tutte le altre; per questo, chi
desidera davvero procedere per la strada delle virtù non deve andare avanti
senza questi sproni, perché non potrà, senza di essi, scuotere la sua bestia
dalla pigrizia.
Da ciò che si è detto, appare
chiaro cosa sia la vera ed essenziale devozione. Non è devozione, infatti,
quella tenerezza del cuore o quel conforto provato qualche volta da coloro che
pregano, che non si accompagni alla prontezza e alla voglia di fare il bene;
anzi, spesso accade che ci si trovi nell'uno senza l'altro, proprio quando il
Signore vuole metterci alla prova.
È vero che da questa
devozione e prontezza molte volte nasce quella consolazione e, al contrario,
questa stessa consolazione e piacere spirituale aumentano la devozione, che
consiste proprio nella franchezza e nell'ansia di operare il bene. Per questa
ragione, i servi di Dio possono ben a ragione desiderare e richiedere tale
gioia e consolazione non per il piacere che in esse si prova, bensì perché
provocano la crescita di quella devozione che ci rende capaci di fare il bene,
come li volle indicare il profeta, dicendo: Ho percorso la strada dei tuoi
comandamenti,
Signore, quando hai allargato
il mio cuore (Sal 118, 32), vale a dire con la gioia della tua consolazione che
fu la causa di questa spirituale agilità.
Cerchiamo ora di esaminare i
mezzi con cui si consegue questa devozione, perché ad essa si congiungono tutte
le altre virtù che hanno familiarità speciale con Dio, di esaminare i mezzi con
cui si riesce a conseguire la perfetta preghiera e contemplazione, le
consolazioni dello Spirito Santo, l'amore di Dio, la saggezza celeste e quell'unione del nostro spirito con Dio, che è il fine di
tutta la vita spirituale, e infine di esaminare i mezzi con cui si raggiunge
Dio stesso in questa vita, cioè il tesoro del Vangelo, che è la perla preziosa
per cui il saggio mercante si disfece lietamente di ogni altra cosa. Donde
appare evidente che questa è un'altissima teologia, poiché qui si insegna la
via per il sommo bene e, passo per passo, si costruisce una scala per
raggiungere il frutto della felicità che in questa vita si può ottenere.
capitolo secondo
NOVE COSE CHE AIUTANO A CONSEGUIRE LA DEVOZIONE
Le azioni che consolidano la
devozione sono molte. In primo luogo, è assolutamente necessario considerare
questi santi esercizi con molta serietà e risolutezza, con cuore ben
determinato e disposto a tutto ciò che è necessario, per quanto arduo e
difficoltoso, per ottenere quella perla preziosa. Si sa che il raggiungimento
di ogni grande fine richiede sforzi notevoli: così è anche per questo, almeno
agli inizi.
È dunque di aiuto la difesa
del cuore da ogni genere di pensiero ozioso e inutile, da ogni affetto ed amore
estraneo, da ogni turbamento e impulso appassionato, poiché è chiaro che
ciascuno di questi moti dell'animo impedisce la devozione e che bisogna invece
avere il cuore sereno per meditare e pregare così come, per suonare, bisogna
aver la chitarra accordata.
È di aiuto ancora vigilar sui
sensi, soprattutto gli occhi, gli orecchi, la lingua, poiché per mezzo della
lingua il cuore si disperde, per mezzo degli occhi e degli orecchi si riempie
di diverse cose e fantasie da cui possono essere turbati la pace e la
tranquillità dello spirito. Per questo, giustamente si dice che colui che
contempla deve essere sordo, cieco, muto, perché quanto meno si disperde
esteriormente, tanto più inferiormente è raccolto.
È di aiuto, per questo, anche
la solitudine, non solo perché toglie le occasioni di distrazione ai sensi e al
cuore e le occasioni di peccato, ma anche perché invita l'uomo a restare in se
stesso, a trattare con Dio e con se stesso, mosso dall'opportunità del luogo
che non ammette nessun'altra compagnia.
È di aiuto, inoltre, la
lettura di libri di carattere spirituale e devoti che offrano materia di
riflessione, raccolgano il cuore e ridestino la devozione e facciano sì che
l'uomo pensi volentieri a ciò che dolcemente ha imparato; sempre, infatti,
ritorna alla memoria ciò che nel cuore sovrabbonda. È di aiuto, inoltre, il
richiamo continuo di Dio, tornare sempre alla sua presenza e fare uso di quelle
brevi preghiere che sant'Agostino chiama giaculatorie
(In Epist. ad Prob., cap.
10 e Epist., 121), poiché esse sorvegliano la casa
del cuore e conservano il calore della devozione di cui prima si è discorso. In
questo modo, ci si trova sempre, in ogni momento, pronti per mettersi a
pregare.
Questa è una delle testimonianze
più efficaci della vita spirituale e uno dei più efficaci rimedi per coloro che
non hanno tempo ne’ opportunità di dedicarsi alla preghiera.
Chi avesse sempre questa
preoccupazione, in poco tempo potrebbe trarre grande vantaggio.
È di aiuto anche la
continuità e la perseveranza nei santi esercizi nei tempi e nei luoghi
prefissi, soprattutto di sera o al mattino presto, che sono i tempi più
adeguati alla preghiera come tutta
Sono di aiuto inoltre la
severità e le astinenze inflitte al proprio corpo, come tavola povera, il letto
duro, il cilicio, la disciplina e altre cose simili, poiché ognuna di esse come
nasce dalla devozione, così anche ridesta, conserva e potenzia la radice da cui
nasce.
Sono infine di aiuto le opere di misericordia perché ci danno la forza di patire davanti a Dio e accompagnano efficacemente le nostre orazioni, perché non possono essere definite del tutto aride e si rendono degne di essere accolte con misericordia le preghiere che procedono da un cuore misericordioso.
capitolo terzo
DIECI COSE CHE IMPEDISCONO LA DEVOZIONE
Come ci sono cose che sono di
aiuto alla devozione, così ce ne sono altre che la ostacolano.
Di esse, la prima è
costituita dai peccati, non solo da quelli mortali, bensì anche da quelli
veniali poiché, anche se non tolgono la carità, ne’ tolgono il fervore, che è
quasi lo stesso della devozione, per cui è bene evitarli con ogni cura, anche
se non per il male che ci fanno, per il grande bene da cui ci allontanano.
Ci è di ostacolo anche,
quando è eccessivo, il rimorso di coscienza che procede dai peccati stessi,
perché rende l'anima inquieta e prostrata, perturbata e fiacca per ogni buon
esercizio.
Sono anche di ostacolo gli
scrupoli suscitati dalla stessa causa, perché sono come spine e non lasciano
riposare, né trovare conforto in Dio né godere dell'autentica pace.
Sono anche di ostacolo ogni
amarezza, ogni malumore, ogni tristezza disordinata del cuore, che impediscono
di compiacersi della gioia e della dolcezza, della buona coscienza e della
serenità spirituale.
Sono altresì di ostacolo le
eccessive preoccupazioni che sono come le zanzare egiziane che inquietano
l'anima e non le consentono di dormire il sonno spirituale che si dorme durante
la preghiera, ma anzi la turbano e la distraggono.
Sono di ostacolo le eccessive
occupazioni che riempiono il tempo e affogano lo spirito, senza lasciare la
possibilità di giungere a Dio.
Sono di ostacolo i piaceri e
i diletti dei sensi quando sono smodati, poiché, come dice san Bernardo (Serm.
È di ostacolo il piacere di
mangiar troppo, soprattutto i lunghi conviti, che sono una pessima preparazione
alle attività spirituali e alle sacre veglie, perché col corpo appesantito e
sazio di cibo, l'animo si trova mal disposto a volare verso l'alto.
È di ostacolo il vizio della
curiosità, così dei sensi come dell'intelletto, cioè il voler udire e vedere
molte cose e desiderare cose linde, curiose, ben elaborate perché tutto ciò
porta via tempo, imbroglia i sensi, inquieta l'anima e la disperde in molte
parti, ostacolando la devozione.
È infine di ostacolo
l'interruzione di tutti questi santi esercizi, a meno che non ci sia una
qualche pietosa e giusta necessità, perché, come dice un padre della Chiesa, lo
spirito di devozione è molto fragile e quando se ne è andato o non torna o
ritorna con grande difficoltà. E per questo, come gli alberi, i corpi umani
vogliono i loro normali mezzi di sostentamento e, se questi mancano, si
indeboliscono e vengono meno, così fa la devozione, quando le viene meno il
sostentamento dell'attenzione.
Tutto questo si è detto per
sommi capi per tenere meglio a mente quanto si è affermato, ma ciascuno potrà
accorgersi di ciò personalmente con l'esercizio e la lunga esperienza.
capitolo quarto
LE TENTAZIONI PIÙ' COMUNI CHE SONO SOLITE MOLESTARE COLORO CHE SI DEDICANO ALLA PREGHIERA E I LORO RIMEDI
Sarà bene esaminare ora le
tentazioni più comuni delle persone che si dedicano alla preghiera e i loro
rimedi. Esse sono per lo più le seguenti: la mancanza di consolazione
spirituale, la guerra di pensieri importuni, i pensieri di bestemmia e di
incredulità, il timore smodato, il sonno eccessivo, la sfiducia di trarre
vantaggio e la presunzione di averne già tratto molto, l'eccessivo desiderio di
sapere, la bramosia senza discrezione di trarre dei benefici. Queste sono le
tentazioni più comuni sulla via della preghiera e i loro rimedi sono i
seguenti.
Prima avvertenza
In primo luogo, per coloro a
cui manca la consolazione spirituale, il rimedio è che non cessino l'esercizio
della preghiera abituale anche se a loro sembra insipida e infruttuosa; si
mettano anzi alla presenza di Dio come rei e colpevoli, esaminino la loro
coscienza e guardino se per disgrazia hanno perduto questa grazia per colpa
loro, implorino con fiducia il Signore di perdonarli e proclamino gli
inestimabili tesori della sua pazienza e misericordia nel sopportare e
perdonare chi non sa far altro che offenderlo. In questo modo, trarrà profitto
dalla sua aridità prendendo occasione di umiliarsi di più, vedendo quanto pecca
e di amare di più Dio, vedendo quanto perdona. Non desista da questi esercizi,
anche se non ne ricava gioia, perché non è necessario che ciò che da vantaggio
sia anche piacevole. Almeno questo si sa per esperienza: tutte le volte che si
persevera nella preghiera eseguendo nel modo migliore ciò che si può, alla fine
se ne esce consolati e lieti, constatando che si è fatto tutto quanto si
poteva. Fa molto agli occhi di Dio chi fa tutto ciò che può, anche se può poco.
Nostro Signore non guarda tanto al risultato, quanto alla disponibilità e alla
volontà. Da molto chi desidera dare molto, chi da tutto ciò che ha, chi non
tiene nulla per sé.
Non c'è merito nel
perseverare nella preghiera quando se ne trae grande conforto, si ha merito
quando la devozione è poca e molta è la preghiera e molta di più è l'umiltà, la
pazienza, la perseveranza nel fare il bene.
È anche necessario, in questi
momenti più che negli altri, procedere con cura e sollecitudine, vigilando,
esaminando con cura i propri pensieri, le proprie parole, le proprie opere,
perché se manca la gioia spirituale (che è il remo principale di questa
navigazione) si supplisca con cura e diligenza a quanto manca di grazia. Quando
ti senti in questa condizione, renditi conto (come dice san Bernardo)
che si sono addormentate le guardie che ti vigilavano e sono caduti i muri che
ti difendevano.
Per questo, ogni speranza di
salvezza è nelle armi, poiché se il muro non ti difende, ti devono difendere la
spada e la destrezza nel combattere.
Oh, quanto grande è la gloria
dell'anima che combatte in questo modo, che si difende senza scudo, che
combatte senza armi ed è forte senza forze e che, trovandosi sola nella battaglia,
assume per sua compagnia l'ardore e il coraggio!
Non c'è gloria maggiore nel
mondo che imitare il Salvatore nelle sue virtù.
E tra le sue virtù, si
annovera come principale l'avere sofferto ciò che soffrì senza consentire alla
sua anima nessun genere di conforto. In questo modo, colui che così soffre e
combatte è tanto migliore imitatore di Cristo quanto più è privo di ogni genere
di conforto. Ciò significa bere il calice puro dell'obbedienza senza mescolarla
ad altra bevanda. Questo è il momento essenziale in cui si prova l'autenticità
degli amici e si vede se lo sono davvero oppure no.
Seconda avvertenza
Contro il turbamento dei
pensieri importuni che ci fanno guerra durante la preghiera, il rimedio è
combattere contro di essi virilmente e con perseveranza, anche se questa
resistenza non può non essere con eccessiva fatica ed angoscia dello spirito,
perché questa impresa non richiede tanto forza quanto grazia ed umiltà. Per
questo, quando ci si trova in questa situazione, ci si deve volgere a Dio senza
scrupolo. Senza angoscia (questa infatti non è una colpa o lo è molto leggera)
e con tutta umiltà e devozione gli si dica: " Vedi, mio Signore, chi sono,
che cosa ci si poteva aspettare da questo immondezzaio se non simili odori? Che
cosa ci si poteva aspettare da questa terra che hai maledetto, se non rovi e
spine? Questo è il frutto che può dare se tu, Signore, non la purifichi ".
Detto questo, si torni a
riprendere il filo come prima e si attenda con pazienza la visitazione del
Signore, che non manca mai a chi si umilia. Se ancora poi ti daranno
inquietudine i tuoi pensieri e tu ancora con perseveranza resisterai e farai
ciò che sta in te, abbi per certo che guadagnerai più terreno in questa
resistenza che se stessi godendo pienamente di Dio.
Terza avvertenza
Per rimedio alla tentazione
di bestemmia, devi tener conto che, poiché nessun tipo di perturbazione è più
penosa di questa, non ce n'è alcuna meno pericolosa e che il rimedio consiste
nel non dar retta alle tentazioni, dal momento che il peccato non consiste in
essa bensì nel consenso e nel piacere, che qui non ci sono, tutt'altro.
Questa può anzi definirsi una pena invece che una colpa, poiché quanto più si è
lontani dal trarre piacere da queste tentazioni, tanto più si è lontani
dall'averne colpa.
Il rimedio quindi è
disprezzarle e non temerle, poiché, quando se ne ha troppo timore, si finisce
col ridestarle e col suscitarle.
Quarta avvertenza
Contro le tentazioni di
incredulità, il rimedio è che ci si ricordi, da un lato, la piccolezza umana, dall'altro
la grandezza divina, si pensi a ciò che Dio richiede e non si sia curiosi di
voler commisurare le sue opere, dal momento che molte di loro trascendono le
nostre capacità di comprensione. Pertanto, colui che vuole entrare nel
santuario delle opere divine, deve farlo con molta umiltà e riverenza, con
occhi di semplice colomba e non di malizioso serpente, con cuore di fanciullo e
non di giudice temerario. Ci si faccia piccoli come bambini, perché proprio a
loro Dio rivela i suoi segreti. Non si cerchi di sapere il perché delle opere
divine, si chiuda l'occhio della ragione e si apra quello della fede, perché
questo è lo strumento con cui si possono cogliere le opere di Dio. Per guardare
le opere dell'uomo occorre l'occhio della ragione umana, per guardare quelle di
Dio non c'è nulla di meno idoneo.
Poiché questa sensazione è in
genere penosissima, il rimedio è quello che abbiamo suggerito per la tentazione
precedente: non farci caso, perché questa è più una sofferenza che una colpa e
non si può avere colpa in ciò a cui si oppone la volontà, come si è dichiarato.
Quinta avvertenza
Alcuni sono ostacolati da
grandi rimorsi e fantasie quando si ritirano in solitudine di notte a pregare.
Contro questa tentazione, il rimedio è farsi forza e perseverare nella
devozione, perché se si fugge cresce il timore e se si combatte il coraggio.
Torna molto utile tener
presente che né il demonio né alcun altro essere ha il potere di farci del male
senza il consenso di nostro Signore.
Torna inoltre ancora molto
utile tener presente che abbiamo al nostro fianco l'angelo custode, più
presente durante la preghiera che in ogni altro momento, perché proprio in quel
momento è lì per aiutarci e portare al cielo le nostre preghiere e difenderci
dal demonio, affinché non ci faccia del male.
Sesta avvertenza
Contro il sonno eccessivo, il
rimedio consiste nel tenere presente che esso può dipendere da necessità fisica
e allora il rimedio è molto semplice: non negare al corpo ciò che gli spetta
perché esso non ostacoli ciò che spetta a noi. Altre volte può dipendere da
malattia e allora non c'è da angosciarsene perché non se ne ha colpa, ma
neppure bisogna lasciarsi andare del tutto senza fare quanto sta in noi per non
rinunciare del tutto alla preghiera, senza la quale non possiamo avere né
sicura né vera gioia in questa vita. Altre volte, il sonno nasce dalla pigrizia
oppure è il diavolo che lo procura.
In questo caso, il rimedio è
il digiuno, il non bere vino, bere poca acqua, stare in ginocchio e in piedi o
con le braccia in croce e non appoggiato e sottoporsi a qualche disciplina che
tenga desta e stimoli la carne.
Alla fine, l'unico e generale
rimedio contro questo male, come per tutti gli altri, è chiedere aiuto a colui
che è sempre pronto darlo a coloro che vorranno chiederlo.
Settima avvertenza
Contro le tentazioni della
sfiducia e della presunzione, .che sono vizi autentici, è gioco forza che ci
siano rimedi diversi. Contro la sfiducia, il rimedio è tenere presente che non
si riesce ad ottenere un buon risultato con le sole proprie forze bensì con la
grazia divina che tanto più presto si consegue quanto più si diffida delle
proprie forze e si confida nella bontà di Dio a cui tutto è possibile.
Per la presunzione, il
rimedio consiste nel tenere presente che non c'è più chiaro indizio di essere
molto lontani che il credere di essere molto vicini, perché, in questo cammino,
coloro che scoprono più terra si affannano di più accorgendosi di quanto sono
lontani dalla meta e, per questo, non si accorgono quanto posseggono in
rapporto a quanto desiderano. Rispecchiati, dunque, nella vita dei santi o di
altre persone eminenti che siano ancora vive e ti accorgerai di essere, di
fronte a loro, come un nano alla presenza di un gigante e guarirai così dalla
tua presunzione.
Ottava avvertenza
Contro la tentazione dello
smodato desiderio di sapere e di studiare, il primo rimedio consiste nel tener
presente quanto la virtù sia più nobile della scienza e quanto più eccellente
la sapienza divina che quella umana, per vedere quanto più ci si deve impegnare
in quegli esercizi coi quali si raggiunge più l'una che l'altra. Abbia pure la
gloria della sapienza del mondo le grandezze che si vuole, ma questa gloria
termina con la vita.
Che cosa può essere dunque
più meschino che acquistare con tanta fatica ciò che si può godere tanto poco?
Tutto quello che puoi conoscere sulla terra è nulla. Se ti impegnerai
nell'amore di Dio, potrai presto vederlo e vedere in lui tutte le cose. "Il giorno del giudizio non ci sarà chiesto
ciò che abbiamo letto, bensì ciò che abbiamo fatto, non quanto bene abbiamo
parlato o predicato, bensì quanto bene abbiamo operato" (Kempis, lib. I.)
Nona avvertenza
Contro la tentazione dello
zelo eccessivo di recar vantaggio agli altri, il rimedio principale è tenere
presente che il vantaggio del prossimo non deve avvenire a nostro danno e
capire che non dobbiamo occuparci tanto delle coscienze altrui da non aver
tempo per la nostra, tempo che deve essere sufficiente a tenere il cuore
costantemente raccolto e devoto. È questo infatti quell'andare
nello spirito che, come dice l'apostolo, consiste nel procedere dell'uomo più
in Dio che in se stesso.
Poiché ciò è la radice e
l'origine di ogni nostro bene, tutta la nostra fatica deve consistere nel
cercare di pregare tanto a lungo e tanto profondamente da avere sempre il cuore
raccolto e devoto. E a questo non è sufficiente qualsiasi modo di raccogliersi
e di pregare bensì occorre una preghiera molto prolungata e profonda.
capitolo quinto
ALCUNE AVVERTENZE NECESSARIE PER COLORO CHE SI
DEDICANO ALLA PREGHIERA
Una delle cose più ardue e difficili di questa vita è saper andare verso Dio e trattare con lui familiarmente. E non si può certo procedere per questa strada senza una buona guida né senza qualche avvertenza per non smarrirsi e, per questo, sarà necessario issarne qui qualcuna con la nostra consueta brevità.
Prima avvertenza
La prima riguarda lo scopo
che con questi esercizi si deve conseguire.
Bisogna rendersi conto che
(essendo la comunicazione con Dio tanto dolce e gradevole, come dice il
sapiente) molte persone, attratte dalla forza di questa meravigliosa dolcezza
(che trascende tutto ciò che si può dire), giungono a Dio e si dedicano agli
esercizi spirituali, lettura, preghiera, pratica dei sacramenti, per la gioia
che ne ritraggono, così che il fine a cui tendono è il desiderio di questa
meravigliosa dolcezza. Questo è un grande ed universale inganno in cui molti
cadono. Il fine precipuo di tutte le nostre azioni deve essere amare Dio e
cercarlo, mentre questo invece è amare e cercare se stessi, ossia la propria
gioia e il proprio appagamento, che è il fine a cui i filosofi aspirano nella
loro contemplazione. E questa è anche, come dice un padre della Chiesa, una
specie di avidità, di lussuria, di gola spirituale, che è non meno pericolosa
di quella materiale.
Da questo stesso inganno ne
consegue un altro non meno grave, cioè il giudicare se stessi e gli altri sulla
base di questa gioia e sensibilità, credendo che uno abbia un grado maggiore o
minore di perfezione, quanto più o meno gode di Dio, il che è un grave inganno.
Contro questi due inganni è utile questa avvertenza e regola generale: capire
che il fine di tutti gli esercizi e di tutta la vita spirituale è l'obbedienza
ai comandamenti di Dio e il compimento della divina volontà, per cui deve
morire la volontà propria perché viva e regni quella divina che è ad essa tanto
contraria.
Poiché non si può conseguire
una vittoria così grande senza grandi favori e privilegi da parte di Dio,
bisogna impegnarsi nella preghiera proprio per conseguire questi favori e
privilegi che favoriscano l'impresa. In questo modo e per raggiungere questo
fine, si possono chiedere e cercare le gioie della preghiera (come prima
abbiamo detto), come le chiedeva David quando diceva: "Rendimi la gioia della tua salvezza e
rinfrancami di uno spirito generoso" ( Sal 50, 14). Si comprenderà
allora quale deve essere lo scopo di questi santi esercizi e come si deve
considerare e commisurare il proprio vantaggio e quello degli altri non sulla
base della gioia che si sarà ricevuta da Dio, bensì sulla base di quanto da Dio
si potrà avere patito facendo la sua volontà e sacrificando la propria.
Che questo debba essere il
fine di tutte le nostre letture e preghiere non voglio spiegarlo con altri
argomenti che con quella divina preghiera del salmo Beati immaculati in via (Sal 118) che nei
suoi centosettantasette versi (è infatti il più lungo del salterio) non ne ha
uno che non parli della legge di Dio e del rispetto dei suoi comandamenti, il
che volle lo Spirito Santo affinché gli uomini si rendessero conto che le loro
preghiere e meditazioni debbono essere ordinate tutte o in parte a un solo
fine: l'obbedienza e il rispetto della legge di Dio. Tutto ciò che da esso si
allontana è sottile e appariscente inganno del nemico, che vuol far credere
agli uomini di essere importanti, mentre non lo sono.
Per cui dicono molto bene i
santi che la vera prova dell'uomo non è la gioia della preghiera, bensì la
pazienza della tribolazione, l'abnegazione di se stessi, il compimento della
divina volontà, anche se a tutto ciò sono di grande vantaggio sia la preghiera
che la gioia e le consolazioni che se ne traggono.
In base a ciò, chi volesse
vedere quanto ha guadagnato nella strada verso Dio si deve domandare: Quanto
cresce ogni giorno in umiltà interiore ed esteriore? Come sopporta le
ingiustizie degli altri? Come riesce a tollerare le debolezze altrui? Come
provvede alle necessità del suo prossimo? Come compatisce senza sdegnarsene i
difetti altrui? Come ripone la speranza in Dio nel momento della prova? Come
tiene a freno la sua lingua? Come sorveglia il suo cuore? Come tiene sottomessa
la carne con tutti i sensi e le sue passioni? Come sa giovarsi della prospera e
dell'avversa sorte? Come riesce a comportarsi con previdente gravita e discrezione
in tutte le circostanze? Oltre tutto ciò, guardi se è morto in lui l'amore
della gloria, della gioia, del mondo e si giudichi sulla base del vantaggio o
dello svantaggio che avrà in ciò conseguito e non sulla base di ciò che sente o
non sente di Dio. Per questo deve sempre avere un occhio, il più attento, alla
mortificazione e l'altro alla preghiera, perché la mortificazione stessa non si
può conseguire perfettamente senza l'aiuto della preghiera.
Seconda avvertenza
Se non dobbiamo desiderare
consolazioni o diletti spirituali solo per fermarci ad essi, bensì per i
vantaggi che ci procurano, tanto meno si debbono desiderare visioni,
rivelazioni o rapimenti e cose simili che possono essere molto pericolose per
chi non è ben radicato nell'umiltà. E non si abbia paura di essere con ciò
disobbedienti a Dio, poiché quando egli vuole rivelare qualcosa, sa
manifestarlo in modo tale che, per quanto si cerchi di fuggirlo, risulta tanto
evidente da non poterne dubitare, anche se non lo si vuole.
Terza avvertenza
Bisogna inoltre stare attenti
a non rivelare i favori o privilegi che nostro Signore concede, escluso,
s'intende, il direttore spirituale. Per cui dice san Bernardo
che l'uomo devoto deve avere scritte nella sua cella queste parole: Il mio
segreto è per me, il mio segreto è per me (Serm. 23
sup. cant.).
Quarta avvertenza
Bisogna inoltre stare bene
attenti a trattare con Dio con la più grande umiltà e il maggior rispetto
possibile, in modo che l'anima, così favorita e privilegiata da Dio, non
distolga gli occhi da dentro di sé per guardare la sua meschinità, raccolga le
sue ali e si umili davanti a tanto grande maestà, come faceva sant'Agostino di cui si dice che avesse imparato a
rallegrarsi timorosamente della presenza di Dio.
Quinta avvertenza
Abbiamo detto prima che il
servo di Dio deve preoccuparsi di avere il tempo stabilito per occuparsi di
Dio, ma che oltre a questo tempo, usuale di ogni giorno, deve ogni tanto
liberarsi da ogni genere di occupazioni, per tante che siano, per dedicarsi
tutto agli esercizi spirituali e dare alla sua anima un pasto abbondante con
cui recuperare quello che ogni giorno si disperde a causa dei propri difetti e
acquisire nuove forze per andare più avanti. Nonostante ciò si debba fare anche
in altri momenti, soprattutto bisogna farlo nelle feste principali dell'anno e
nei momenti di dolore e tribolazione o dopo lunghi viaggi o affari che abbiano
causato distrazione e dispersione nel cuore, per tornare a raccoglierlo.
Sesta avvertenza
Ci sono inoltre alcuni che
hanno poco tempo e misura nelle loro fatiche devote, quando si trovano bene con
Dio. Per questi la prosperità stessa viene ad essere occasione di pericolo. Ci
sono molti, infatti, a cui pare che questa grazia sia loro concessa a piene
mani e che, trovando così dolce il contatto con il Signore, si dedicano tanto
ad essa e prolungano tanto i tempi della preghiera, le veglie, i sacrifici
fisici che la natura, non riuscendo a sopportare un peso così continuato, si
riduce a terra.
Da ciò deriva il fatto che
molti si rovinano la testa e lo stomaco e si rendono incapaci non solo di altre
fatiche fisiche, ma anche degli stessi esercizi di preghiera. Per la qual cosa,
bisogna avere molta cautela in queste circostanze soprattutto all'inizio,
quando il fervore e le consolazioni sono maggiori e minori l'esperienza e la
misura, per non fiaccarsi le gambe e arrendersi a metà strada.
L'altro estremo contrario è
quello di coloro che se la prendono comoda e, col pretesto della discrezione,
risparmiano al loro corpo le fatiche, cosa che, se è molto dannosa a tutti, lo
è molto di più per coloro che cominciano, perché, come dice san Bernardo, è impossibile che perseveri molto nella vita
religiosa colui che si risparmia quando è novizio (Ad frafres
de Mont.); da principiante vuol essere prudente e, da ragazzo ancora novellino,
comincia a risparmiarsi e a prendersela con comodo come un vecchio.
Non è facile giudicare quale
di questi due estremi sia più pericoloso, benché è certo che alla mancanza di
misura (come dice molto bene Gerson), e finché il corpo
è in buona salute, si può porre rimedio, quando è già rovinato dalla mancanza
di misura, si può fare ben poco.
Settima avvertenza
C'è anche un altro pericolo
su questo cammino, forse più grave degli altri ed è che molte persone, dopo
aver esperimentato alcune volte la virtù inestimabile della preghiera e aver
visto per esperienza come tutta l'armonia della vita spirituale da essa dipenda
e che essa è il tutto e che sola basta a porci in salvo, si scordino delle
altre virtù e rifuggano da tutto il resto. Da ciò deriva che come tutte le
altre virtù aiutano questa, mancando il fondamento, manchi anche l'edificio e
così, mentre si cerca questa virtù, meno si riesce a procedere con essa.
Per questo dunque il servo di
Dio deve porre gli occhi non in una sola virtù, per grande che sia, bensì in
tutte, perché, come nella chitarra una sola corda non fa armonia se non suonano
tutte, così una sola virtù non basta per fare questa spirituale consonanza, se
tutte non si accordano con essa. Come un orologio se si guasta un solo
ingranaggio si ferma completamente, così si blocca l'orologio della vita
spirituale se manca una sola virtù.
Ottava avvertenza
È necessario ora tenere
presente che tutti gli avvertimenti detti sin qui per promuovere la devozione
devono essere presi come preparazione per accostarsi alla grazia divina,
impegnandosi in essi, ma abbandonando la fiducia in essi per riporla in Dio.
Dico questo perché esistono alcune persone che eseguono a puntino tutte queste
regole e disposizioni, credendo che, come colui che impara un mestiere, una
volta che ne abbia osservate tutte le regole, per merito di esse diventerà un
buon artigiano, così chi abbia rispettato queste regole, possa ottenere, per
loro merito, ciò che desidera; non tengono conto che in questo modo trasformano
la grazia in tecnica e attribuiscono a regole e artifici umani ciò che è pura e
spontanea misericordia del Signore.
Per questo, bisogna prendere questi consigli non come frutto di tecnica bensì di grazia, perché in questo modo ci si renderà conto che il primo strumento che è necessario è una profonda umiltà e il riconoscimento della propria miseria con una grandissima fiducia nella misericordia divina, perché dal riconoscimento dell'uno e dell'altra derivino continue lacrime e preghiere con le quali, entrando per la porta dell'umiltà, si raggiunga ciò che si desidera e se ne ringrazi senza nessuna punta di presunzione ne’ nel proprio modo di pregare ne’ in altra cosa che non sia di Dio.