«Oggi
dico: "Non fornicate".
Non
volgete intorno lo sguardo cercando di leggere sul volto di uno la parola
"lussurioso". Abbiate
carità reciproca. Amereste che uno la leggesse su voi? No. E allora non cercate
leggerla nell'occhio turbato del vicino, sulla sua fronte che arrossa e si
curva al suolo. E poi...
Oh!
dite, voi uomini in specie.
Quale
fra voi non ha mai messo i denti in questo pane di cenere e sterco che è la
soddisfazione sessuale?
Ed
è lussuria solo quella che vi spinge per un'ora fra braccia meretrici?
Non
è lussuria anche il profanato connubio con la sposa, profanato perché è vizio
legalizzato essendo reciproca soddisfazione del senso, evadendo alle
conseguenze dello stesso?
Matrimonio vuole dire
procreazione, e l'atto
vuoi dire e deve essere fecondazione. Senza ciò è immoralità. Non si deve del
talamo fare un lupanare. E tale diventa se si sporca di libidine e non si
consacra con delle maternità. La terra non respinge il seme. Lo accoglie e ne
fa pianta. Il seme non fugge dalla zolla dopo esservi deposto. Ma subito genera
radice e si abbranca per crescere e fare spiga, ossia la creatura vegetale nata
dal connubio fra la zolla e il seme. L'uomo è il seme, la donna è la terra, la
spiga è il figlio. Rifiutarsi a far la spiga e sperdere la forza in vizio è
colpa. È meretricio commesso sul letto nuziale, ma per nulla dissimile
dall'altro, anzi aggravato dalla disubbidienza al comando che dice: "Siate
una sola carne e moltiplicatevi nei figli". (Genesi 1, 28; 2, 24; 9, 1.)
Perciò
vedete, o donne volutamente sterili, mogli legali e oneste non agli occhi di
Dio ma del mondo, che ciononostante voi potete essere come prezzolate femmine e
fornicare ugualmente pur essendo del solo marito, perché non alla maternità ma
al piacere andate troppo e troppo spesso. E non riflettete che il piacere è un
tossico che aspirato da qual che sia bocca contagia, fa arsi di un fuoco che
credendo saziarsi si spinge fuor dal focolare e divora, sempre più insaziabile,
lasciando acre sapor di cenere sotto la lingua e disgusto e nausea e sprezzo di
sé e del compagno di piacere, perché quando la coscienza risorge — e fra l'una
febbre e l'altra essa sorge — non può non nascere questo sprezzo di sé,
avviliti fino a sotto la bestia?
“Non fornicate" è detto.
È
fornicazione molta parte delle azioni carnali dell'uomo. E non contemplo
neppure quelle inconcepibili unioni da incubo che il Levitico condanna con
queste parole: "Uomo, non ti accosterai all'uomo come
fosse una donna", e: "Non ti accosterai ad alcuna
bestia per non contaminarti con essa. E così farà la donna e non si unirà a
bestia perché è scellerataggine". (Levitico 18, 22-23.)
Ma
dopo avere accennato al dovere degli sposi verso il matrimonio, che cessa
d'esser santo quando, per malizia, diviene infecondo, vengo a parlare della
vera e propria fornicazione fra uomo e donna per vizio reciproco e per compenso
in denaro o in doni.
Il
corpo umano è un magnifico tempio che racchiude un altare. Sull'altare dovrebbe
essere Dio. Ma Dio non è dove è corruzione. Perciò il corpo dell'impuro ha
l'altare sconsacrato e senza Dio. Pari a colui che si avvoltola ebbro nel fango
e nei rigurgiti della propria ebbrezza, l'uomo avvilisce se stesso nella
bestialità della fornicazione e diviene peggio del verme e della bestia più
immonda.
E
ditemi, se fra voi è alcuno che ha depravato se stesso sino a commerciare il
suo corpo come si fa mercato di biade o di animali, quale bene ve ne è venuto?
Prendetevi
proprio il vostro cuore in mano, osservatelo, interrogatelo, ascoltatelo,
vedete le sue ferite, i suoi brividi di dolore, e poi dite e rispondetemi: era
così dolce quel frutto da meritare questo dolore di un cuore che era nato puro
e che voi avete costretto a vivere in un corpo impuro, a battere per dare vita
e calore alla lussuria, a logorarsi nel vizio?
Ditemi:
ma siete tanto depravate da non singhiozzare nel segreto, sentendo una voce di
bimbo che chiama: "mamma" e
pensando alla vostra madre, o donne di piacere, fuggite da casa, o cacciate da
essa perché il frutto marcito non rovinasse col suo trasudante marciume gli
altri fratelli?
Pensando
alla vostra madre che forse è morta dal dolore di doversi dire: "Ho
partorito un obbrobrio"?
Ma
non vi sentite cadere il cuore per terra, incontrando un vecchio solenne nella
sua canizie e pensando che su quella del padre voi avete gettato il disonore
come un fango preso a piene mani, e col disonore lo scherno del paese natio?
Ma
non vi sentite torcere le viscere di rimpianto vedendo la felicità di una sposa
o la innocenza di una vergine, e dovendo dire: "Io tutto
questo l'ho rinunciato e non lo avrò mai più!"?
Ma
non sentite come scotennarvi dalla vergogna il volto, incontrando lo sguardo
degli uomini o bramoso o pieno di spregio?
Ma
non sentite la vostra miseria quando avete sete di un bacio di bimbo e non
osate più dire: "Dammelo",
perché avete ucciso delle vite all'inizio, respinte da voi come peso
noioso e un inutile impiccio, staccate dall'albero che pur le aveva concepite,
e gettate a far letame, e ora quelle piccole vite vi gridano: "assassine!"?
Ma
non tremate, soprattutto, di quel Giudice che vi ha create e vi attende per
chiedervi:
"Che hai fatto di te
stessa? Per questo, forse, ti ho dato la vita? Pullulante nido di vermi e
putrefazione, come osi stare al mio cospetto? Tutto avesti di ciò che per te
era il dio: il piacere.
Va' nella maledizione senza
termine"?
Chi
piange? Nessuno? Voi dite: nessuno? Eppure l'anima mia va incontro ad un'altra
anima che piange. Perché le va incontro? Per lanciarle l'anatema perché
meretrice? No. Perché mi fa pietà l'anima sua. Tutto in Me repelle per il suo corpo sozzo, sudato nella fatica
lasciva. Ma la sua anima!
Oh! Padre! Padre! Anche
per quest'anima Io ho preso carne ed ho lasciato il Cielo per essere il
Redentore suo e di tante sue, anime sorelle!
Perché
devo non raccogliere questa pecora errante e portarla all'ovile, mondarla, unirla
al gregge, darle pascoli e un amore che sia perfetto come solo il mio può
essere, così diverso da quelli che ebbero fin qui per lei nome di amore non
erano che odii, così pietoso, completo, soave che ella più non rimpianga il
tempo passato, o lo rimpianga solo per dire:
"Troppi
giorni ho perduto lungi da Te, eterna Bellezza. Chi mi rende il tempo perduto?
Come gustare nel poco che mi resta quanto avrei gustato se fossi sempre stata
pura?".
Eppure
non piangere, anima calpestata da tutta la libidine del mondo. Ascolta: sei un
cencio lurido. Ma puoi tornare fiore.
Sei
un letamaio. Ma puoi divenire aiuola.
Sei
animale immondo. Ma puoi tornare angelo.
Un
giorno lo fosti. Danzavi sui prati fioriti, rosa fra le rose, fresca come esse,
olezzante di verginità. Cantavi serena le tue canzoni di bambina e poi correvi
dalla madre, dal padre, e dicevi loro: "Voi siete i
miei amori".
E
l'invisibile custode che ogni creatura ha al fianco sorrideva della tua anima
bianco-azzurra... E poi?
Perché?
Perché
hai strappato le tue ali di piccolo innocente?
Perché
hai calpestato un cuore di padre e di madre per correre ad altri cuori
insicuri?
Perché
hai piegato la voce pura a menzognere frasi di passione?
Perché
hai infranto lo stelo della rosa e violato te stessa?
Pentiti, figlia di Dio. Il
pentimento rinnova.
Il
pentimento purifica. Il pentimento sublima. L'uomo non ti può perdonare?
Neppure
tuo padre potrebbe più? Ma Dio può. Perché la bontà di Dio non ha paragone con
la bontà umana e la sua misericordia è infinitamente più grande della umana
miseria. Onora te stessa rendendo, con una vita onesta, onorevole la tua anima.
Giustificati
presso Iddio non peccando più contro la tua anima. Fatti un nome nuovo presso
Dio. È quello che vale. Sei il vizio. Diventa l'onestà. Diventa il sacrificio.
Diventa la martire del tuo pentimento. Sapesti bene martirizzare il tuo cuore
per far godere
Vai.
Andate tutti. Ognuno col suo peso e col suo pensiero, e meditate.
Dio
tutti attende e non rigetta nessuno di quelli che si pentono. Il Signore vi dia
la sua luce per conoscere la vostra anima. Andate.»